| Comparazione sulle verità delle forme della Tradizione primordiale: le testimonianze più antiche. Berosso La  comparazione tra diverse tradizioni spirituali. Se gli studi su base comparatistica consentono di  evidenziare quelle strutture universali che rimangono celate sotto i singoli  fenomeni, per l’Iniziato essi consentontono la riscoperta di quell’impronta  della Tradizione Primordiale – che egli chiamerà con espressioni del tipo: Philosophia Perennis –, Tradizione di  origine non umana, che si dispiega nel divenire sempre cangiante delle forme a  seconda dei luoghi e dei tempi della storia umana.È questa la differenza che marca i percorsi di ricerca  dell’accademico e dell’iniziato, poiché entrambi sono tenuti ad applicare nel  rigore scientifico il metodo comparativo, ma l’accademico, rinserrato nei suoi  limiti, che proprio da tale rigore sono determinati, si esclude dal poter  cogliere gli apetti più profondi della verità.
 Si è generato un grande equivoco, negli ambiti degli  iniziati, a proposito dei rapporti fra il ricercatore iniziato e quello  dell’accademia. Occorre ribadire il punto fermo che, ssendo la Philosophia perennis la Gnosi,  Conoscenza della Verità ultima, non può non essere riconoscibile, poiché il  Divino “si squaderna” nell’Universo, e quindi di necessità se ne riconosce la  funzione di Principio della molteplicità. Partendo da questa base, di evidente  chiarezza, possiamo tornare all’equivoco.
 Molti iniziati, infatti, sono stati condotti ad  abbandonare il rigore metodologico, considerato come appannaggio proprio di  un’Accademia, forse perché delusi da atteggiamenti di chiusura, come quelli che  il mondo accademico ha tenuto e tuttora tiene nei confronti delle  interpretazioni “esoteriche” della Divina  Commedia, sia per un malinteso senso di superiorità, che l’Iniziazione, in  quanto tale, avrebbe loro conferito. Avviene così, tanto per scendere  dalle nuvole delle formulazioni astratte nel concreto dei casi della vita, che  uno Zecharia Sitchin (scomparso il 9 ottobre u. s.), partendo da quelle stesse  tavolette cuneiformi sumeriche, babilonesi ed assire che io studio, e dalle  quali spero di dimostrare l’unicità della Philosophia  Perennis, ha prodotto una teoria che vede nelle divinità dell’antica  civiltà mesopotamica tracce di interventi alieni su questo pianeta.
 Davanti a fenomeni come questo, dobbiamo interrogarci  sui rapporti tra i due percorsi, quello della scienza accademica, quale  garanzia di rigore, e quello della ricerca esoterica, proteso verso la gnosi.
 Il ricercatore accademico acquisisce,  come prima qualità del suo comportamento il distacco. Egli è un osservatore  neutrale, che esamina con la più assoluta obiettività i fenomeni che considera.  Quest’attitudine interiore, più difficile da conseguire di quanto possa  sembrare, si sposa con un atteggiamento interiore di scetticismo o agnosticismo  rispetto ad una visione totale, che, nel migliore dei casi, viene data per  inconoscibile, quando non ne viene addirittura negata l’esistenza: valgano come  esempio – ne scelgo apposta uno dei più banali – le parole che Nikita Kruscev  disse dopo la missione del primo astronauta in orbita attorno alla terra (Yuri  Gagarin nel 1961), quando affermò che non si vedeva alcun dio lassù. Questo  atteggiamento, che sembra fondato sulla più responsabile serietà oggettiva e  sul buon senso, costituisce in realtà l’esito di una perdita, ovvero la perdita  del raggio che la Luce Superiore invia e senza il quale è impossibile procedere  sulla via per acquisire la Gnosi.Molti Maestri hanno visto in questo atteggiamento il  più strepitoso successo delle forze contro-iniziatiche (che costituiscono  lacune nella Luce iniziatica), poiché un atteggiamento materialistico sostenuto  da un’impostazione di pensiero positivistica non può essere confutato, poiché  si deve partire dalla base materialistica stessa. Chi volesse tentare, si  troverebbe in un contraddittorio in cui dovrebbe produrre argomentazioni  attraverso ragionamenti difficili, tortuosi come sentieri a stento praticabili  che costeggiano precipizi e burroni. Ma questo non basta. Il materialismo è  dotato della forza che gli deriva dall’essere la mentalità dominante nel nostro  mondo: è diventato dogma, verità posta innanzi a qualsiasi verifica o dubbio.  Volenti o no, consapevoli o meno, insieme al latte materno assumiamo il modo di  pensare in termini materialistici, e questo vale anche per i credenti. Come  corollario, segue:
 
                            
                              da un lato la convinzione che  la mentalità materialistica sia “buon senso”, un “buon senso” ancorato alle  cose concrete, le uniche ritenute vere, dall’altro sul materialismo si  fonda il mito del “progresso”, soprattutto tecnologico, assurto a metro delle  capacità umane (per esempio, quando sentiamo dire: “quella è certamente una  civiltà superiore: sapevano già costruire i ponti!” Così può avvenire, e, purtroppo,  vediamo che avviene, anche tra le nostre file, che il materialismo buttato  fuori dalla porta rientra dalla finestra. Spinti da sete di conoscenza, ma poco  attenti alle modalità di sviluppo del proprio ragionare, soprattutto alle basi  di partenza, molti iniziati cadono nella trappola. Gli UFO di Sitchin e di  altri come lui costituiscono il trionfo del materialismo, nel suo aspetto della  maggiore tecnologia e quindi del progresso di una stirpe extra-terrestre  superiore. Perché gli UFO e simili non sono qualitativamente diversi da un  aereoplano, ovvero dalle realtà materiali che ci circondano, se non nel fatto  che gli UFO sono “più avanti, più progrediti”! D’altro canto nulla hanno a che  fare gli UFO con le realtà spirituali, che in tutto da quelli si differenziano. Caduto nella trappola l’iniziato si  colloca allora in posizione polemica nei confronti del sapere accademico,  posizione assunta per pregiudizio (anche se in qualche caso giustificato) e si  lascia sedurre dal brivido di inseguire l’emozionante ricerca di tracce aliene,  che nulla avrebbero a che fare, quand’anche ci fossero, con la Gnosi: così come  la scoperta dei resti di un’antica città sepolta, in sé, direttamente, nulla  può dare per un progresso sulla via della Gnosi. Si consideri l’esempio della  città di Ebla, in Siria, scavata dagli Italiani e sui cui testi ho lavorato  anch’io, che in sé non ha portato nessun passo avanti nella ricerca spirituale.  Polemiche tra ‘esoteristi’ e ‘accademici’: il caso della Divina Commedia. Bisogna dire che l’agnosticismo  positivista del mondo accademico è il secondo colpevole, dopo la scarsa  vigilanza, ad opera degli iniziati stessi, nei confronti della mentalità  materialista, di questo stato di cose. Un caso esemplare, come s’è detto, è  l’interpretazione esoterica della Divina  Commedia e di tutta l’opera di Dante Alighieri in generale. Lasciando da  parte Boccaccio, che, come pare, tergiversò per salvare il poema dalle fiamme  del rogo, dal XIX secolo iniziò una serie di studi, da parte di diversi autori,  in direzione esoterica, più o meno netta. Il primo fu il grande Ugo Foscolo,  cui poi seguirono altri, in una linea di ricerca che continua ancora adesso,  press’appoco ignorata dalla critica ufficiale, come ieri, così oggi. Una breve  rassegna senza pretese su questa ricerca è stata tracciata da Berosso, e la  ricordo perché è presente sul sito del nostro Venerabile Rito (Rebis in Arte  Regia, ottobre 2009), quindi non mi soffermo oltre, ma vengo direttamente al  punto.Qual’è questo punto discriminante? Perché mi devo  dissociare dal sapere accademico se si tratta della Divina Commedia e invece devo restare ad esso aderente quando sono  in questione gli UFO di Sitchin?
 Ora dovrebbe risultare chiaro: quando  l’Accademia interpreta al buio, priva della Luce della Philosophia Perennis, non può cogliere il senso vero di ciò che  studia. L’Accadamia è invece credibile quando analizza fenomeni materiali, che  cadono nel dominio dei nostri sensi, sia direttamente, sia attarevrso strumenti  che ne amplino le possibilità.La complessa simbologia del Paradiso  Terrestre, nel Purgatorio di Dante,  ha una ricchissima valenza di contenuti spirituali, ma, se considerata nella  prospettiva di un ricercatore avventato che seguisse le orme di Sitchin,  diventerebbe il resoconto di uno sbarco alieno in cima a chissà quale montagna  della Cordillera delle Ande. E questo è materialismo. Così la mitologia degli  dèi di Sumer e di Babilonia sono materialismo quando Sitchin li analizza come  testimonianze – assolutamente strampalate – di sbarchi di UFO o di pianeti  erranti. Questa mitologia, invece, come la Divina  Commedia, è una rappresentazione di dottrina iniziatica, discesa dalla  Tradizione Primordiale come ora vedremo.
 Il bradisismo flegreo: l’emersione del pilastro sommerso  nella Tarda Antichità.  Perché per esporre le linee di fondo del pensiero  mesopotamico mi rivolgo alla produzione filosofica della Tarda Antichità? Cosa  avvenne allora, da rendere opportuno un percorso attraverso quell’esperienza  per arrivare al mondo dei Sumeri e  degli  Assiro-Babilonesi?  Vorrei riprendere qui quanto esposto da  me nel contributo sull’esoterismo di Dante ricordato prima, allorché citò,  modificandola, un’affermazione che i due studiosi di esoterismo, R. van den  Broek e W. J. Hanegraff, hanno posto all’inizio del loro volume di cui sono  curatori, Gnosis and Hermeticism from  Antiquity to Modern Times, State University of New York Press, New York  1998, alla p. vii. La civiltà europea, occidentale, poggia su quattro pilastri.Un pilastro è la religiosità giudaica,  cui si deve il monoteismo, e della quale il Cristianesimo costituisce uno  sviluppo diretto.
 Un secondo pilastro è la logica greca,  cui si deve la nascita delle scienze.
 Il terzo pilastro è il diritto romano,  su cui si fonda l’amministrazione della società. E sull’esistenza di questi tre  pilastri non c’è molto da dire, poiché è opinione ampiamente condivisa.
 Ma ne esiste un quarto, che, come le  rovine antiche a Pozzuoli, Baia e Campi Flegrei, nei secoli si inabissa o  riemerge. Questo pilastro è la gnosi ermetica, l’esposizione sistematica della  Tradizione Primordiale. Ogni dottrina cui sia stato dato un assetto sistematico  non può cogliere altro che uno scorcio, una veduta sulle Realtà Intellegibili e  su quella Realtà Somma che non è neppure intellegibile; solo le  rappresentazioni simboliche possono fornire un supporto affidabile verso la  Gnosi. La caratteristica del pensiero della Tarda Antichità fu proprio  l’aderenza e la valorizzazione, in chiave filosofica, di quegli insiemi  simbolici che sono le mitologie di civiltà che già allora erano in via di  sparizione.
 Infatti,  dall’opera di Filone Alessandrino, contemporaneo di Gesù, fino al VI sec. d.  C., quando l’imperatore Giustiniano nel 527 chiuse l’Accademia platonica di  Atene, dove aveva insegnato, fino a pochi decenni prima, anche Proclo  (412-485), la Tarda Antichità produsse diversi filoni di pensiero  (neo-platonico, ermetico, alchemico, astrologico, magico-ritualistico ed altri)  in cui il patrimonio delle antiche civiltà dell’area vicino-orientale, ma anche  della grecia stessa, erano recuperate e valorizzate attraverso nuove inedite  interpretazioni che ne riconoscevano la validità tradizionale. L’apice  speculativo di questo periodo è costituito dalla filosofia di Plotino, che  riconsiderò il messaggio platonico determinando ricchissimi sviluppi futuri  (Porfirio, Giamblico, Proclo, per ricordare i maggiori). Accanto alla  tradizione neo-platonica si devono collocare opere quali i trattati del Corpus Hermeticum e gli Oracula Chaldaica, in entrambi dei quali  l’influenza platonica è distintamente percepibile.Forse – come  abbiamo detto prima – si può prendere come punto di partenza l’opera di un  orientale, l’ebreo Filone, rabbino di Alessandria, che interpretò l’Antico  Testamento alla luce del pensiero platonico, determinando un genere di ricerca  che fu seguito anche da Plotino, che lo rivolse alla teogonia greca e che,  tanto fu interessato alle esperienze orientali, che cercò di raggiungere  l’Oriente per conoscere gli insegnamenti colà impartiti, arruolandosi nell’armata  di Gordiano III.
 Platone e il dio  egizio Thot, Hermes dei Greci, queste due grandi fonti di sapienza, possono  essere presi come immagine sintetica della strada intrapresa dal pensiero della  tarda Antichità.
 Il mezzo millennio  di storia del pensiero del Levante ellenizzato di età imperiale è un fervore di  studi e ricerche che recupera  il  patrimonio mitologico antico e ne riconosce la validità quale fonte di verità e  sapienza. Questa Verità e Sapienza si collocano pienamente nell’alveo della  Tradizione Primordiale: durante i primi secoli dell’era crisitiana, il  bradisismo portò in piena luce il quarto pilone, il pilone sommerso.
 L’esposizione  della  dottrina: la lingua logica, post-platonica/parmenidea, e la lingua figurata del  mito. La dottrina della Philosophia perennis espressa in lingua  logica illumina, per noi logici post-platonici, la stessa dottrina nella lingua  del mito. L’importanza  di quest’emersione è immensa. Infatti, per la contingenza storica che si  verificò allora, e su cui non posso soffermarmi in questa sede, il pensiero  della Tarda Antichità si pose come chiave comparativa di traduzione tra due  lingue: una logica, basata sui concetti astratti e una figurata, ovvero la  lingua del mito.Le elaborazioni, sia dei filosofi  neo-platonici, sia del Corpus Hermeticum o degli Oracula Chaldaica, per quel  poco che ne resta, espongono il pensiero mitico tradizionale in termini  “logici”, ovvero, usan termini astratti, quali “essere”, “divenire”,  “genrazione”, “universale”, “intellegibile” e molti altri. Questa innovazione  ebbe in realtà inizio con Parmenide, allorché pose al centro del suo pensiero  l’Essere, ma fu portata al massimo delle sue possibilità espressive dalla  filosofia di Platone.
 Come sia avvenuto un cambiamento così  radicale, da rendere necessario l’uso di termini astratti per esprimere le  verità metafisiche, che prima di Parmenide erano rese col linguaggio figurato  del mito, è difficile a dirsi. Nel contributo di Berosso, cui ho fatto prima  menzione, e cui rinvio, è riferita la teoria di Domenico Antonino Conci, che  offre una soluzione valida. Nel qudro di generale confusione, per recuperare un  rapporto col Sacro quindi, la lingua figurata del mito non era più sufficiente  e si sviluppò il linguaggio fondato sull’uso dei termini astratti.
 Esempi significativi dalla mitologia sumerica studiata alla  luce del pensiero di autori dell’età imperiale. Ora, questo uso è continuato in  Occidente fino ai giorni nostri, tanto che ci è difficile cogliere il messaggio  profondo celato nei simboli (tra cui il linguaggio mitico va annoverato); oggi  la strada passa attraverso quei discorsi fatti col linguaggio a noi usuale di  termini astratti, ma che sono discorsi rivolti ai contenuti dei miti, veicoli  della Philosophia Perennis. In questo  senso, le opere dei filosofi o teosofi della Tarda Antichità sono quant’altri  mai utili, dal momento che rispondo in pieno al requisito appena esposto. Darò qui degli esempi, perché  un’esposizione complessiva richiederebbe almeno un intero corso annuale. Questi  esempi sono tratti da ricerche da me condotte, ricerche che hanno un carattere  parziale, dal momento che sto procedendo per settori, per arrivare alla visione  finale d’insieme dell’agnizione della Philosophia  Perennis nella mitologia mesopotamica. Esempio 1. Inana e Dumuzi La letteratura sumerica ci ha  tramandato un complesso di canti, che solo in modo approssimativo possono  essere congiunti in un’unica trama, pur riferentsi tutti alla stessa vicenda,  considerata talvolta con differenze anche cospicue. Questo complesso tramanda  le vicende della giovane dea Inana, la Venere dei Sumeri, e del suo sposo  Dumuzi, il pastore. Alcuni canti celebrano l’incontro e il flirt delle due  divinità (diciamo così per semplificare, perché sulla divinità di Dumuzi ci  sarebbero precisazioni da fare), altri ne celebrano le nozze e infine altri  riferiscono sulla triste fine di Dumuzi, trascinato agli inferi dai demoni.  Esiste poi una serie di canti che esaltano la figura di Dumuzi, e che furono  erroneamente considerati relativi ad una resurrezione del dio (che non  avviene). Una sintesi recente, che espone tutta questa materia si può reperire  in P. Mander, Canti sumerici di amore e  morte – La vicenda della dea Inanna / Ištar e del dio Dumuzi / Tammuz,  Paideia, Brescia 2005. Ora questa sembrerebbe una bella trama che ha dato  origine a dun filone di letteratura poetica a carattere tragico-amoroso, ma se  la si considera in controluce illuminata dal trattatello dell’imperatore  Giuliano Alla madre degli dèi, si  scoprono sorprendenti analogie, non solo di dettaglio, ma, e soprattutto, di  struttura. Non posso fornire prove e dilungarmi se non in modo molto generale,  in questa sede, rinviando, per una visione più completa, allo studio pubblicato  da P. Mander, Antecedents  in the Cuneiform Literature  of the Attis  tradition in Late Antiquity, Journal of  Ancient Near Eastern Religions 1 (2001), 100-149. Giuliano espone una variante  molto particolare di un mito sulla dea madre Cibele e sul semi-dio Attis e ne  fornisce l’interpretazione in una chiave neo-platonica particolare. Cibele è  una dea celeste, madre degli dèi, e Attis è il semi-dio (semi-dio in quanto non  immutabile come gli dèi) che ella ama; esposto al fiume Gallo (che Giuliano  interpreta come la Via Lattea, sotto la quale scorre il mondo del divenire),  Attis, che reca un berretto stellato, segno della sua origine divina, saltando  e ballando, si spinge fino alle estreme regioni inferiori, come un raggio di  sole. Il limite estremo da lui raggiunto è la grotta della ninfa, che Giuliano  definisce limite estremo della materia. Onde impedire che Attis superi questo  limite estremo, il Fuoco del Leone, attivato da Helios, il sole, mutila il  semi-dio, evirandolo, bloccando così una generazine senza fine delle forme, che  rimangono, infatti, in numero limitato.Attis è chiaramente  l’elemento intermedio, che  Giuliano definisce come “la sostanza dell'intelligenza feconda e creatrice che  genera ogni cosa fino all'ultimo livello della materia, e che contiene in sé  insieme tutte le ragioni e tutte le cause delle forme materiali”: un demiurgo  che dà forma alle realtà immerse nel mondo della generazione e del divenire. In  Giuliano appare dominante il tema della Provvidenza (§ 6), ampliato appunto,  nell'indicazione della funzione di Attis, che viene detto logos (§ 19), principio ordinatore del cosmo; secondo le parole di  Giuliano stesso, la funzione del logos "ha reso così bella questa sozzura (il mondo della materia) da  trasformarla in qualcosa che nessuna arte o intelligenza umana saprebbe  imitare".
 Alla luce delle speculazioni  di Giuliano su questo mito, acquisisce nuovo significato il mito riferito nel  complesso dei canti sumerici di Inana e Dumuzi. Come prima cosa, si deve  rilevare il ruolo di Inana nella regalità, poiché, in un periodo di alcuni  secoli, a cavallo del III e del II millennio a. C., ella si congiungeva –  secondo modalità a noi ignote – con il sovrano, facendo quindi discendere su di  esso la forza divina che ella attingeva in cielo. In alcuni canti il sovrano  durante queste nozze sacre (hieros  gamos) si identificava con Dumuzi. Il sovrano che riceveva la forza sacra  attraverso la dea, l’avrebbe poi irrorata sul suo regno, che quindi, essendo  nella grazia degli dèi, sarebbe stato prospero e sereno.La dea Inana ha come  caratteristica quella di unire domini opposti: come nel rito delle nozze sacre  unisce il mondo terreno – il cui apice è il re – con quello divino, così ella,  attraverso il fascino, unisce i generi opposti. I suoi sacerdoti, maschi, erano  vestiti da femmine, per simboleggiare la funzione di “ponte” della dea; ella  stessa era rappresentata ed elogiata, in canti sacri, come prostituta  (affacciata alla finestra, per attrarre i passanti), e a lei facevano  riferimento le ierodule del tempio. Queste peculiarità si riconoscono  nell’aspetto dell’astro del pianeta Venere, che o precede il sole che sorge, o  segue quello tramontato, unendo così, in un luminosissimo punto, giorno e  notte.
 Ma Inana corrisponde anche  alla ninfa, in quanto potenza di attrazione che opera la generazione continua  delle forme.
 Possiamo così delineare un  parallelo:
 Come Cibele, Inana è 1.  Madre degli dèi, 2. Regina del cielo, 3. Esercita una grande potenza.Come la ninfa, Inana 1. È  dotata di fascino irresistibile, 2.  È  connessa ad un luogo chiuso, il Palazzo o il Carcere (riferibili al grembo),  cui la caverna della ninfa è paragonabile: questo punto è complesso, ma le  prove ci sono. La prigione delle forme matetiali corre immediatamente alla  mente.
 Come Attis, Dumuzi 1.  Mostra natura celeste (berretto stellato di Attis), 2. È anch’egli semi-divino,  3. Ha un carattere mediano, come si evionce, in particolare ma non solamente,  dall’impersonificazione che ne fanno i re nelle Nozze sacre, 4. Seppur rapito  dai demoni, compie comunque una catabasi agli inferi, 5. Il sole interviene con  ruolo salvifico sia nei confronti di Attis che di Dumuzi. Questi sono i punti di  contatto principali, ma quelli meno appariscenti sono spesso ancor più  significativi. In conclusione, appaiono  due assi discendenti che si possono porre in paralleo, e quello Cibele – Attis  – Ninfa costituisce un chiaro sistema simbolico cosmologico, come Giuliano  dimostra. Ecco i due assi in  prospetto:Inana > Cibele > Cielo immoto dell’Assoluto
 Inana > Ninfa > Seduzione e attrazione
 Dumuzi > Attis > Portatore della bellezza celeste nel mondo  delle forme
 in cui Inana è  sia la parte del cielo degli dèi che la seduzione della ninfa, e Dumuzi, nella  forma del re che reca l’abbondanza al suo regno, corrisponde ad Attis che rende  bello il regno della materia. Ora, l’interpretazione  metafisica che Giuliano attribuisce alla variante del mito di Cibele ed Attis a  lui nota (forse conosciuta in quanto, essendo l’imperatore, era a capo di  numerosi collegi sacerdotali) si estende benissimo ai canti di amore e morte  sumerici di Inana e Dumuzi, rendendo ragione di numerosi epiteti e dettagli  descrittivi, che non è possibile riferire in questa sede. Esempio 2. Nin-hursanga Ancora in questa direzione,  è da citare la figura della dea Hekate negli Oracula Chaldaica. Hekate nella mitologia greca è la custode delle  soglie, con tratti inquietanti, in quanto, in tale veste – rispetto alla soglia  degli inferi –, è patrona della magia e dei fantasmi.Ma negli Oracoli Caldaici,  in cui è propulsiva l’ispirazione platonica del Timeo, Hekate è l’Anima Mundi,  ovvero l’elemento che dall’Intelletto Universale si spinge fino alla materia,  cui infonde vita. Essa si differenzia negli individui, pur restando sempre una,  posta al di sopra del divenire degli individui stessi. Una funzione intermedia,  quindi, che rende ragione della scelta della guardiana delle soglie della  mitologia greca per impersonare questo concetto platonico ripreso negli Oracoli  Caldaici, per quei pochi frammenti che ci sono pervenuti.
 Uno dei più importanti  poemi sumerici e babilonesi è quello chiamato, dalle parole con cui inizia Re, il cui splendore è maestoso,  denominato Lugal-e dagli assiriologi  (e così qui lo chiameremo), racconta in oltre 750 versi le gesta del dio  guerriero Ninurta, figlio del sovrano degli dèi e re dell’universo Enlil, che  affronta e sconfigge il demone Asakku, che si era sollevato contro Enlil, alla  testa di un esercito di pietre ribelli. Lo scontro è durissimo, ma alla fine  Ninurta riesce vincitore e dà ordine al cosmo, facendo fluire le acque del  Tigri in modo da rendere possibile per gli uomini l’agricoltura. Al termine di  questa sua ultima impresa, vede sopraggiungere sua madre Ninlil, in ansia per  il figlio. Appena la scorge, Ninurta le dedica il cosmo, che aveva appena  ordinato, e le attribuisce il nome di Nin-hursanga, “Signora delle colline”,  ovvero dei luoghi in cui, in Mesopotamia, sbocciva spontanea la vita selvatica:  ricordaimo che questa non era solo appannaggio di animali e piante, ma anche di  minerali.Le espressioni con cui  Ninurta onora sua madre sono fortemente simili, non solo contenutisticamente,  agli epiteti con cui è fregiata Hekate negli Oracula Chaldaica.
 Anche in questo caso è  chiaro che Ninlil – Nin-hursanga è la versione sumerica dell’Anima mundi, e che quindi al racconto  del poema Lugal-e dev’esser  attribuita un’interpretazione generale metafisica, i cui contorni sto appena  cominciando a scorgere. Valga per tutte, l’osservazione di uno schema triadico  in entrambe le opere:
 Padre (Primo Fuoco) à Enlil  à Principio immotoHekate à Ninlil à Animatrice del Cosmo, intermedia tra Padre e  “Secondo Fuoco”. Chiamata “grembo”, e forse il segno Ω che appare nelle  raffigurazioni di Nin-hursanga è un utero.
 Figlio (Secondo Padre) à Ninurta à forza combattente del Padre (Secondo Fuoco)
 schema che è base di partenza di una  rappresentazione metafisica. Nel Lugal-e è paragonato due volte ad una tempesta travolgente
 È sperabile che questo  filone di ricerca continui, riconsiderando la lettura della mitologia  sumerico-babilonese attraverso le opere della Tarda Antichità, al fine di  raggiungere un’interpretazione completa di quella mitologia come  rappresentazione metafisica in linguaggio figurato.     |