REBIS IN ARTE REGIA

Rivista di Studi Muratori dell' Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm
       Sovrano Santuario Italiano
Libera Muratoria Universale
Grande Oriente d'Italia

Web Magazine dell'A:.P:.R:.M:.M:.

N. I Gennaio 2009

 

 

 


(G. Languasco)Uno sguardo sulla Massoneria Russa

(G. Languasco)Cristina di Svezia, J.D. Cassini

(P.Galiano)L'Iniziazione ad Osiride

 

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 Cristina di Svezia,  J.D.  Cassini, la sua famiglia
e la proto-massoneria italo-francese

A Maria Luisa Bonaccorsi
In memoria

 

L’elaborato che qui propongo alla vostra attenzione è il frutto di un lungo lavoro, durato, tra  lunghe pause  ed intervalli ,  più di  tre anni,  trascorsi nella ricerca ed approfondimento  di  molti temi riguardanti la figura di  Gian Domenico Cassini, l’astronomo nato a Perinaldo (IM), formatosi in Genova e in Bologna e che venne chiamato da Luigi XIV, Re di Francia, a completare la costruzione dell’Osservatorio Astronomico di Parigi,  e quindi a dirigerlo , come pure al medesimo impegno vennero chiamati i suoi discendenti maschi,  per le successive tre generazioni.
Maria Luisa Bonaccorsi, mancata prematuramente, avendo avuto a disposizione, per la consultazione ed il primo riordino, la biblioteca Maraldiana (1),  contenente tra l’altro la  raccolta dei libri , memorie e scritti autografi di G.D. Cassini, ovvero da Lui dettati ai nipoti Maraldi in tarda età, ha portato alla mia attenzione alcuni importanti documenti colà tuttora riposti.
Tali documenti  ho potuto compulsare e studiare grazie alla benevolenza dell’attuale proprietario e  discendente dei Cassini,  il sig. Manuel Gismondi Vincenzo.
 Alcuni di tali documenti verranno illustrati o citati in questo studio, e di tale possibilità ancora Lo ringrazio.
 Un grato e doveroso riconoscimento deve andare alla mia amica  e sorella spirituale Maria Luisa, che tanto desiderava procedessi  a utilizzarli .
L’occasione di pagare questo debito, davvero, “un gallo da sacrificare ad Asclepio", mi è data ora dal convegno organizzato in Roma, dall’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim del  G:.O:.I:., incentrato sull’esame della figura,  controversa ed affascinante,  di Cristina Vasa di Svezia, la quale  ebbe modo di conoscere ed apprezzare il giovane venticinquenne G.D. Cassini, mentre questi lavorava alla meridiana di Bologna.
Ciò avvenne durante la sua discesa, dalla Svezia in Italia, per raggiungere Roma, dopo aver abdicato al Trono e ( con grande scandalo dei suoi conterranei ) alla Religione protestante luterana del defunto padre ed eroe di guerra, Gustavo Adolfo.
Cristina inviterà poco dopo G. D. Cassini a far parte  della sua Accademia, mentre egli lavorava in Roma, in vari campi e su commissione del Papa Chigi - Alessandro VII .
 G.D. Cassini, insieme a Cartesio, sarà lo scienziato di maggior livello e di maggior fama a far parte della cerchia degli intimi di Cristina e ad essere membro effettivo di quella Accademia Reale  che andrà famosa per i suoi studi alchemici e arcadico - letterari.
Valenti studiosi hanno peraltro contribuito, anche in tempi recenti, coi loro studi, a tracciare la  biografia di G.D. Cassini .
  L’ Amministrazione Comunale della natia  Perinaldo, ove é ubicato l’Osservatorio astronomico Cassiniano originale, si è molto impegnata in tale direzione  allestendo degna struttura museale che ne permette ancora oggi  la visione e l’utilizzo da parte di appassionati e studiosi.
Anna Cassini, omonima ma non parente dei Cassini di Perinaldo, molto attenta e molto accurata nella documentazione testuale ed iconografica,  ha fornito importanti contributi con le sue pubblicazioni, a cominciare da “ Gio: Domenico Cassini – Uno scienziato del Seicento” (2).
Desidero sgombrare subito il campo da possibili equivoci:  tutte le attribuzioni di paternità letteraria e le valutazioni fornite in tale testo dall’Autrice, in merito ai documenti in esso esposti e riguardanti vita ed opera di G.D. Cassini, sono da me interamente accettati.
La medesima studiosa pone però, su di essi, varie questioni che rimangono in sospeso ed irrisolte: proprio a tali questioni, fornendo un quadro di riferimenti contestuali e di agganci storici, fino ad oggi non noti o non riconosciuti, il presente studio tenta per l’appunto di dare una plausibile e fondata risposta.
La figura su cui porterò primariamente attenzione è quella di Cornelio Malvasia, Senatore Bolognese,  Marchese di Bismantova, Generale di Artiglieria presso il Duca di Modena.
Da questi Giovanni Domenico Cassini (che diverrà Jean Dominique solo nella seconda parte della sua vita quando, per i suoi meriti scientifici, verrà naturalizzato francese da Luigi XIV ) venne infatti ,  per così dire, ” scoperto” e grandemente  apprezzato .
Rivelò infatti, già durante gli anni di formazione in Genova, un fervido ingegno ed una versatilità enciclopedica, attuando l’ allora imperante ideale leonardiano di scienza : si  mostrò al contempo   letterato e poeta, oltre che valentissimo ricercatore scientifico.
 G.D. Cassini messosi così bene in mostra, venne quindi  chiamato da Cornelio Malvasia a svolgere le osservazioni astronomiche presso la spécola di Ponzano (Modena) dal lui appena costruita, nella torre del suo castello di Panzano in Modena (oggi nel Comune di Castelfranco Emilia).

                                       

Scrive Anna  Cassini (3) : “ Egli (Malvasia) rappresenta un personaggio-chiave per la vita e per la carriera del Cassini poiché, sollecitando il suo trasferimento a Bologna e godendo di notevole prestigio nell’ambiente culturale cittadino, gli prospetta fin dall’inizio la possibilità di entrare come lettore nel famoso ateneo ”.
Cornelio Malvasia non fu  però solo l’appassionato astronomo e convinto astrologo di cui ci si narra.
Insieme a molti  altri  insigni personaggi e letterati , fra cui il futuro Papa Urbano VIII , fu infatti tra i membri attivi (4)  dell’Accademia dei Gelati di Bologna (5), sotto lo pseudonimo de “Il difeso”, unitamente al parente Conte Carlo, l’”Ascoso”.
                Tale Accademia scelse di rappresentarsi con un emblema assai particolare, un fitto bosco di alberi dai rami intrecciantesi e congelati dal freddo invernale.

 


                Il frontespizio dell’opera intitolata “Prose de’ signori Accademici gelati di Bologna” mostra lo stemma della Accademia,  che associa  agli alberi la antica conoscenza, di cui preconizza il ritorno,  e così  allude e specifica che tale conoscenza è  quella Druidica . (6)
Il tutto è circondato da una rappresentazione allegorica delle quattro stagioni,  a significare la speranza di poter dischiudere alla conoscenza di tutti,  in un prossimo futuro, in un veniente primum ver, espressamente auspicato dal motto “Nec longus tempus”,  la rigogliosità vitale della antica sapienza, per l’intanto ancora congelata  da un gelido inverno.
Notiamo  che tale stemma mostra, alla sua base, un mascherone dotato di vistosi mustacchi; alla media altezza un leone ruggente; in alto una testa alata di angioletto.
 In questo è ancora una impresa “parlante”, che definisce con tali richiami simbolici, origine, luogo e fini dell’Accademia medesima.

                         


                              
 La base d’origine dell’Accademia va ricercata nella Brumosa, di cui è emblema il baffuto mascherone; il suo centro iniziatico a Lione (Lyon); il suo vertice nell’ Angelique (7), di cui è emblema l’angioletto alato, che non a caso porge il suo sguardo, in guisa di tutelante e protettore, verso il basso.(8)
 Anna Cassini, a pag. 40 del suo già citato libro, mostra lo stemma con cui il senatore Cornelio Malvasia viene presentato al pubblico , con la sua impresa,  nell’altra famosa pubblicazione dell’Accademia dei Gelati. (9)

                                                       

Anche qui, come nello scudo sannita del frontespizio della precedente opera, ritroviamo il Grifone, alato.
Che si tratti di un grifone, e non di un drago, risulta evidente dall’insieme del contesto, nonché dai particolari.
 Il grifone appartiene prevalentemente  all’elemento aria, nella quale si libra per mezzo  delle ali  e dalla più possente delle cui creature, l’aquila,  prende infatti  le proprie zampe  anteriori artigliate -  ben in vista nello stemma.  La sua parte inferiore – significativamente non visibile nello stemma - è di leone, ovvero dell’animale  dominante dell’elemento terra.
In quanto unione dei due dominanti di cielo e terra , il Grifone è intermedio, “mediatore” fra i due : mediazione e unione degli opposti (simboleggiata dal “baussant” templare che talora ne fa da sfondo). Ne scaturisce la colorazione aurea, sintesi armonica degli opposti.
Altrettanto tipiche del grifone ( e non del drago) le orecchie “da cavallo ”, molto  allungate.
Il drago  ha prevalente l’elemento terra : ha tutte le zampe di leone. Il suo corpo è quello ctonio del serpente. Il suo colore è il rosso fuoco.
Alla natura mitologica del grifone si confà conseguentemente  la funzione di proteggere, a quella del drago, invece, di minacciare.
Nello stemma in questione la funzione protettrice svolta dal grifone appare evidente, tanto che , con le sue zampe artigliate, esso ai due lati lo sostiene, regge  e porge; con le ali  spiegate a raccolta lo circonda e quindi difende; con lo sguardo in direzione opposta a quella del tutelato, letteralmente “ne guarda le spalle”.
Lo stemma peraltro, secondo le regole della Cabala Fonetica, è uno stemma parlante :
“ griffon tiens aux parts ”   si può infatti leggere “ appartiens au Griffon ” (10)
In tal senso lo stemma  non solo dichiara iconograficamente la appartenenza del Marchese Cornelio Malvasia alla società del Grifone, ma ne ribadisce e conferma, anche foneticamente, tale affiliazione.
Ma ciò che il Grifone “ tiene ” fra le artigliate zampe,  e quindi “protegge, conserva e tutela” non è solo lo stemma,  ma sono anche le due passioni  vitali del  Marchese:

    - l’astronomia con la sfera armillare celeste e il sestante da un lato.
    - i simboli della antica massoneria operativa (libro sacro, squadra e compasso) dall’altro.

Abbiamo qui anche una credibile indicazione per meglio comprendere le ragioni più  profonde del nome di copertura, nella Accademia dei Gelati,  di Cornelio Malvasia: ” il Difeso ”.
 Sappiamo ora anche da quale organizzazione Egli era difeso e possiamo intuire e comprendere come  naturalmente egli medesimo estenderà tale protezione al suo pupillo Cassini (11).
Riteniamo pertanto di non sbagliare nell’affermare che fu il Marchese Cornelio Malvasia l’iniziatore di Gian Domenico Cassini alla Brumosa prima (12), ed alle conoscenze ed uso della Cabala Fonetica (13) poi.
Delineati i tratti dell’ambiente della formazione iniziatica di G.D. Cassini, peraltro quello medesimo da cui verrà il Barone Tassoni di Modena, fondatore in Venezia  del Rito di Misraim, andiamo ora ad esaminare alcuni aspetti dei rapporti epistolari e documentali intercorsi fra Lui e Cristina di Svezia.
Cristina di Svezia, allorquando rinunciò al Trono, intraprese un lungo viaggio di avvicinamento a Roma: un viaggio segnato da varie tappe, tutte all’insegna dell’apoteosi dell’antica saggezza egizia risorgente dalle sue ceneri, come antica Fenice,  di cui araldo riconosciuto ed acclamato è proprio Cristina di Svezia.
In Italia si ferma a Bologna, ove incontra G.D. Cassini intento a lavorare alla meridiana di San Petronio.
Dopo Bologna Cristina sarà a Loreto, al Santuario dove la devozione alla Madonna nera richiama anch’essa ,  scaturendo  essa per sovrapposizione in epoca cristiana del culto religioso antico,  quello della Grande Madre Iside, che per l’appunto è la “ Dea Nera ”.  

Una Madonna nera o “sous terre” verrà collocata anche nell’ingrottamento sottostante l’Osservatorio Astronomico di Parigi, nelle cui stanze vivrà e lavorerà  G.D. Cassini e la sua discendenza.
Giunta a Roma Cristina riceverà come omaggio da Athanasius Kircher un modello di obelisco, sovrastato dal “bennu”, l’uccello della creazione primordiale che, sopraggiungendo ad ali spiegate sulla primordiale collina “ Ta Tenen ”, prima terra emersa dal caos delle acque, aprirà il nuovo ciclo della manifestazione, con il suo canto creatore.
                                                            

L'Obelisco dedicato a Cristina
Il Bennu egiziano

L’immagine che segue è ripresa ed ingrandita dalla foto a pagina 184  dal Libro  “Roma e l’Egitto, dalla storia la mito” Mondadori Electa 2008. Mostra il profilo della statua sormontante il ben-ben dell’obelisco donato da Kircher a Cristina, in equilibrio ad ali spiegate sulla sfera che rappresenta il mondo.
Il profilo appare chiaro ed inequivocabile, se dunque il richiamo dotto, operato da Kircher con il suo omaggio, è  al bennu ovvero  all’antico Egitto ed alla sua sapienza, quello iniziatico, più vicino nel tempo e che richiama pur sempre la ri-sorgenza di quella antica sapienza,  è  al grifone (vedasi in particolare la caratteristica forma adunca  del becco) ed alla sua Società.
                                 

Durante al sua permanenza in Roma Cristina venne altresì acclamata “ Cleopatra in Hortis “Vaticanis. (14) e confermerà la sua passione ed il suo interesse per l’ Egitto  dedicandosi, oltre che alla alchimia, alla raccolta di antichità egizie, che alla sua morte finiranno tra i beni del re di Spagna.
In tutto questo peregrinare, Cristina di Svezia fu dunque accolta in modo benevolo e talora trionfale, ricevendo una pletora di omaggi letterari di sapore smaccatamente encomiastico, e uggiose nella loro ripetitività, scarsamente originale.
 Scrive infatti Cristina nelle sue Memorie:  “A piccole tappe io visitai Imola, Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Pesaro, Fano, Ancona, città suddite della Santa Sede” ed aggiunge palesemente annoiata “ … E avanti archi di trionfo, avanti iscrizioni e discorsi”
… e ancora … “ va da sé che questa torma di piccole accademie, sorte un po’ qua e un po’  là,  ad ogni piè sospinto si sforzassero di comporre rime nelle quali tutte le risorse della mitologia correvano il rischio di rivelarsi insufficienti: non vi fu antica divinità che non venisse a me paragonata ”.
Arrivata a Bologna nel novembre del 1655 riceve in omaggio e dedica,  da G. D. Cassini, la sua opera prima letteraria  sulla meridiana che lo renderà famoso, “in forma di tesi”.
Afferma Anna Cassini, nell’opera citata, a pag. 93: “ Non c’è da stupirsi se Cristina, visitando l’Archiginnasio ed accogliendo in omaggio numerose composizioni poetiche  in latino ed in italiano da parte dei professori dello Studio, manifestasse invece maggiore interesse ed attenzione per il singolare dono del giovane astronomo …”
In quel periodo Cristina leggeva “De Misteriis Aegyptorum” di Giamblico: fu forse attratta dall’originale e crittata dedica che sovrasta il frontespizio “ Magnum Uraniae Tesaurum” - ovvero M.U.T. -   o meglio MUT , la Grande Dea dell’Antico Egitto protettrice dei cieli e delle madri.
Una dedica  sicuramente azzeccata e fortemente encomiastica : ma abbiamo letto proprio  poco fa con quanta noia Cristina accogliesse con noia il suo essere encomiasticamente paragonata ad antiche deità, per quanto egizie.
Esaminiamo  allora dunque e meglio il documento , al  fine di individuare e scoprire che cosa in esso davvero abbia “particolarmente interessato” la Regina Cristina.
 Quello che ci ha intrigato, e che resterà un “ unicum”  della produzione letteraria di G.D. Cassini, é l’originalissima suddivisione spaziale  dei  versi, che ha un ché della composizione per così dire “futurista”.
L’organizzazione e la collocazione delle parole sul foglio sembrerebbe del tutto casuale, sicuramente estremamente originale e buffamente frammentata. Quale senso ha dunque questa estrema originalità di composizione?

     

Si tratta di un calligramma (15).
Ho eliminato  tutto ciò che è inessenziale all’ode: il titolo dedicatorio in alto, la didascalia dedicatoria con il nome dell’autore  in calce. Per meglio evidenziare il concetto, ho contornato a penna lo scritto.
Ne emerge il chiaro profilo di un Dijed, il simbolo Osirideo che indica “stabilità” .
                                                                                             

     
                                                                                                             
La dedica egizia, ed il potente simbolo del Dijed, che sicuramente non tutti potevano individuare dietro l’occultamento  del calligramma, servivano a  segnalare a Cristina l’appartenenza di G. D. Cassini alla corrente occulta e risorgente dell’antica sapienza egizia, cui Cristina portava e porterà il più grande interesse, facendosene addirittura portatrice ed alfiere.
 Due aspetti del Dijed sono però meno noti, ma assai importanti :
- Dijed è talmente arcaico da essere persino pre-osirideo. In origine trattavasi, pare, di un albero, circondato da fasci di fiori e frutti.  Il che richiama ancora l’antica sapienza dell’albero - axis mundi - che abbiamo visto nello stemma della Accademia dei Gelati. Solo successivamente verrà associato alla colonna vertebrale di Osiride: ma pur sempre si tratterà  di una trasposizione dell’axis mundi, come tale rappresentante la  “ ciclica stabilità” (vedi Osiride serpente de la lupa e l’Egitto).
-  Dijed è il nome funzionale attribuito al Capo di una congregazione religiosa gnostico-catara bogomila.
Ma in Bologna Cristina riceve anche un altro, non meno importante, e non meno originale,  omaggio letterario.
Scrive Anna Cassini a pag. 84 della sua già citata opera:  “ altrettanto importante ed interessante dal punto di vista scientifico è un’altra opera che, pur non portando il nome dell’autore, fu certamente scritta dal Cassini per illustrare il problema che gli era stato proposto di risolvere con l’impiego della meridiana:” Controversia prima astronomica ad maximum heliometrum D. Petronii examini exposita”.
 Questa piccola opera, composta di quattro fogli di testo e priva di figure ad eccezione di un grosso fregio barocco sul primo foglio, è ritenuta un opuscolo a sé stante, dato alle stampe come gli altri in concomitanza con il completamento della linea meridiana”.
Il ragionamento, le argomentazioni e documentazioni a corredo che, nel prosieguo del suo lavoro (cui espressamente qui si rimanda) Anna Cassini porta per  supportare l’attribuzione a G.D. Cassini  della composizione di tale componimento letterario sono talmente stringenti e convincenti che la rendono pressoché certa anche agli occhi di chi scrive.
Solo che  il “grosso fregio barocco sul primo foglio” non è affatto e solamente un “grosso fregio”  bensì la firma dedicatoria del componimento, da decrittarsi e leggersi secondo le regole esoteriche della Cabala Fonetica, ben note a G.D. Cassini per il tramite iniziatico di Cornelio Malvasia, ed in vigore nella società del Grifone.
                  


Blasono : usando come indizio la iniziale di pagina , lettera G fiorita,  per l’identificativo del termine centrale del rebus e  secondo le regole della “ Langue des Oiseaux “ di Claude Sosthéne Grasset d’Orcet, ove le mute non contano:
(a) Gornan  sans Bras = un volto umano senza braccia. Tale volto ha due evidenti caratteristiche:
- la bocca orribilmente spalancata: a mostrare al GOLA ( Gaules). I Goliardi o Gaults o “figli di Golia” sono massoni operativi , in possesso dell’ Art - Gault od Art Royal, , che fin dal IV secolo dopo Cristo sono sostenitori della dinastia Merovingia. Vengono chiamati anche GILPINS ( mustacchi volpini) o Fendeurs Charbonniers: ad essi appartennero  Francesco I di Francia e Rabelais. Come simboli hanno il gallo, la spina, il pappagallo (pape-gault).
-  due bei MOUSTACHES ,  MUSTACCHI ( Bacco). Vengono tirati per forzarli a dire il loro “segreto” . In Argot  o “langue verte” i moustaches  si chiamano “bacchantes” (P. Belier La societé Angelique pag. 110) : la bocca è aperta nel grido delle Baccanti - affascinate dal Dyoniso greco equivalente del Bacco romano-  EUOE’ ( la versione greca dell’ impronunciabile IHVH) .
In francese antico i mustacchi si chiamavano gernon o gornan
  


               
“Moustaches” è  infatti termine”moderno” introdotto in lingua francese da Jean Lemarie de Belges , uno dei membri della “Accademia di Fourviere” ( con l’astrologo Gonzalve de Toledo; Humbert  Fourier , Andrè Victor -  Tomo I “L’ Angelique” pag. 90) ).
Accademia è  il nome dato al giardino ove , vicino ad Atene, insegnava Platone.
Fondata  a Lione nel 1506 tale Accademia dichiara : “ è la religione, la morte, la riforma dei costumi e la DISCIPLINA del’ANIMA ciò che noi discutiamo”.
(b) Ai due lati, accostati, due RAMI , con una vaga forma di “G”:
- sono “des rameaux” o, in francese antico, “RAINS”
- si trovano ai lati od angoli, cioè ANGLE’
3) Portati dai rami, dei FIORI e, interlacciate ad essi, delle FOGLIE: cioè FLEURS et FEUILLES
Dunque:


GRN N(Smuto)   BR  RMS(X) NGL  FR  FL

che leggiamo

GRIME’ BRUMUS ANGLE’ FORET FILS


Dove:
Grimè = truccato,  camuffato,  quindi nascosto od occultato
 BRUMUS è BACCO , uno dei suoi nomi:nonché  una dichiarazione di appartenenza alla “Brouillard” ed alla ”Angelique”.
 anglér = nascondere ( dal Francese Medio) . Dice Pierre Dujols , discepolo di Grasset d’Orcet, “ Ne pretez trop attention a ce que Vous voyez, ècoutez e sachez angler”.


Anglé andrebbe ulteriormente blasonato

Adonai Egle’

Dove eglé =goutte=goccia

Che in ebraico è Yod


La firma di Cassini dunque, occultata nel mascherone barocco , anonima in quanto si conviene ad non a un omaggio individuale, ma a quello collettivo del gruppo di iniziati appartenenti all’Angelique, e comprensibile solo da Cristina di Svezia, già al corrente per i suoi precedenti studi e frequentazioni  di tali segrete cose, è dunque :


“L’occultato Dioniso, figlio divino della foresta”

ovvero

La antica massoneria operativa operante in segreto nei sacri boschi .


Peraltro ciò che sta dietro al Gornan sans bras  è proprio un “conchiglione”: e “coquillons”o “gente della conchiglia” era proprio il termine che in allora designava i liberi muratori ( ciò sempre in drivazione dell’applicazione del grimorio bianco per cui libre-masson diventa li-masson). Dietro ai Gouiliards si cela dunque  la antica massoneria operativa.
Alla  “Accademia di Fourviere”,  comunque più un cenacolo di intellettuali che una istituzione davvero organizzata, a Lione, succedette l’ ”AGLA”  (1509), fondata dal tedesco  Cornelius Agrippa Von Nettesheim , società di  stampatori, che ammise  però al suo interno  degli accettati, ovvero gente non del mestiere, quali Philibert Delorme (architetto e capo massone) , Clement Marot (poeta) Maurice Save (poeta di poesie cifrate e cabalistiche) nonché, non ultimo, Francesco I di Francia.
“ AGLA “sta per: “ATHA GUIBOR LEOLAM ADONAI “ : ovvero ” sei forte in eterno o Signore”.  Questa invocazione richiama la risorgenza Templare e preannuncia l’analoga invocazione conservata nel rituale del 33:. Grado della Massoneria Scozzese.
Alla AGLA, sempre a Lione, succedette  la BRUMOSA:  Brouillard = annebbiato = Traduzione del termine  greco GRYPHE’ .
Vi è qui un ricorrente gioco di parole: Griphé  richiama infatti  il patronimico del  fondatore della Brumosa  (1520): Sébastien Griphe, letterato in rapporti di lavoro con Rabelais (gli corregge le bozze). Userà come simbolo il Bucranio.
Il mito di riferimento di questa congregazione iniziatica fu  quello  di Zeus che manda la nebbia ( o nuvole=nephele’) per ingannare Ixion ( la cui statua è nel luogo di fondazione della Brumosa),  innamorato di Hera.
La nebbia funge da frontiera fra definito ed indefinito, reale ed irreale:  è la frontiera tra due mondi.  

      
E’ il fondo grigio = gris fond  ovvero il “ grifone”.


Ecco il Grifone e la sua società.
Nel 1552, sempre in Lione, alla Brouillard succedette l’Angelique ( la cui denominazione coincide con il nome di una figlia di Von Nettesheim) che ebbe  come simbolo identificativo  l’”angioletto” , di cui al portone della cappella della famiglia Cassini, nel castello avito di Perinaldo. (17)
                        


Nel 1552 Nicolas de Langes comprò a Fourviere una tenuta che chiama “Angelique”
Nel 1555 la Brouillard  si fuse con il “Sodalitium”, composto  di letterati ispirati da  Etienne Dolet, un editore, e guidata da Guillame du Choul ( a cui apparterrà anche Michele Serveto ed anche il già citato  Humbert  Fourier).
Nel 1606 alla morte di Nicolas de Langes, la tenuta venne  ereditata dalla figlia Louise, che andò sposa a Balthazhar de Villar, il mecenate di Dom Polycarpe de la Riviere,  figlio illegittimo della regina Margot  (l’infelice figlia di Caterina de’ Medici).
Dom Polycarpe de la Riviere nel 1626 pubblicò  “ L’Angelique ,  ovvero perfezione ed immortalità dell’anima”. Tali appartenenze, oltre a testimoniare una sorta di continuità iniziatica per sovrapposizione ed inglobamento delle congregazioni succedentesi a Lione, risultano importanti nel comune emergere, in Francia a Lione e a Roma nel 1690, dei temi dell’Arcadia .
Vedasi anche “Astrea”  l’opera di Honorè d’Urfè ,  nato nel 1567 e membro della Angelique: la vicenda della   “pastora Astrea e del pastore Caledon” in quanto ambientata nel V secolo, nel paese di Forez solcato dal Lignon, affluente della Loira ) .
In tale opera si ha una trasposizione in terra di Francia del mito antico dell’Arcadia : il territorio in cui la vicenda si svolge é infatti una oasi situata geograficamente  fra Galli, Romani e Barbari ,  ove il fiume separa  i pastori dalle ninfe,  ed ove  si rifugeranno Ercole e Galatea.
Nel 1668 Colbert affidò a Picard , membro della  Angelique, l’incarico  di effettuare triangolazioni per determinare la conformazione della terra. I Cassini , anch’essi membri della Angelique  ( Archives Angelique  - Barret et Miltot 1825, editions Colonnes ),  (18) gli succederanno  nell’incarico.
In conclusione dunque il giovane G.D. Cassini, con le due opere letterarie bolognesi ante citate,  di cui abbiamo discusso aspetti mai  rivelati in precedenza, (la prima sottoscritta e  firmata, come omaggio individuale, la seconda in forma di omaggio collettivo, e quindi anonimo, della società del Grifone), si presentò a Cristina di Svezia , nonostante appunto la giovane età, con le sue già elevate credenziali iniziatiche, associate e strettamente interlacciate a quelle scientifiche.
Apprezzò molto , la ancor giovane e dotta Cristina, le une e le altre, e di conseguenza volle Gian Domenico Cassini , con lei, a Roma e   nell’Accademia Reale da lei fondata,  da cui sorgerà, un anno dopo la sua morte, nel 1690, l’accademia di Arcadia.
                        

Stemma della Accademia di Arcadia

                                       
Luigi XIV di Francia altrettanto le  apprezzò in seguito e, consigliato e sostenuto, come vedremo, dai membri della Angelique, sottrasse il brillante Cassini al servizio del Papa e lo convinse con onori e laute ricompense ad occuparsi del nascente Osservatorio Astronomico di Parigi nonché a far parte della altrettanto giovine Accademia di Francia.
Gian Domenico Cassini peraltro mantenne un forte interesse per l’attività di studio e ricerca esoterica, che si svolgeva nell’Accademia Reale di Roma, dove progettò di realizzare anche un osservatorio astronomico ad uso esclusivo della Regina Cristina di Svezia, e dove frequentò i membri che ne facevano parte ed erano significativamente affiliati ad un’altra istituzione Accademica,  appartenente alla medesima Società del Grifone: l’ “Accademia degli Scomposti” di Fano, nelle Marche, formalizzatasi dal 1641. (19)
Un gran frequentatore di cannocchiali quale Cassini dovette trovarsi sicuramente bene in tale ambiente. Tale Accademia aveva infatti, come stemma, sette tubuli di cannocchiale, presentati, per l’appunto, “scomposti” e quindi inidonei a cogliere, isolatamente, alcuna precisa realtà.
Il motto accademico era “ Composita ad Seposita ”: ovvero attraverso la giusta composizione e l’armonioso accordo degli studiosi sarà possibile costruire il mezzo con cui potere studiare approfonditamente le cose nascoste e segrete.
Lo stemma accademico, conservato a Fano nella Biblioteca Federiciana, presenta sullo ” sfondo grigio” l’emergente  Grifone (non un Drago) (18)  ad ali spiegate, e di cui al centro spunta il capo , nella esatta medesima postura protettrice con cui compariva nello stemma di Cornelio Malvasia .
               

             

In realtà immagine e  motto  occultavano ai profani , con l’artificio della trasposizione linguistica,  e rivelavano agli iniziati, i due motti massonici che ne sono l’esatta trasposizione, nel grado che diverrà il  trentatreesimo di rito Scozzese e  che peraltro ne costituiscono il fine vero ed ultimo:


“Raccogliere ciò che è sparso”                                                            “Ordo ab Chao”


Per chi ancora dubitasse che tutto ciò avveniva sotto l’egida della massoneria operativa italo-francese dei massoni accettati, presentiamo quindi seguito l’introito della Villa Amiani di Fano, ove quale chiave di volta, fra le due colonne, campeggia nuovamente il Grifone rampante, al centro di un  gigliato “capo di Francia”. (20)
                                     


Nell’ingresso del Tempio di Salomone,  secondo la narrazione biblica,  erano collocate due colonne, dette Jachin e Boaz (1 Re 7:21; Re II 11:14; 23:3), alte 18 cubiti e sormontate da capitelli con gigli, alti 5 cubiti.  Le medesime due colonne che si trovano all’ingresso del Tempio all’interno delle Logge massoniche.      
                                              
Il Marchese Santinelli e i’abate Federici i furono membri della Accademia degli esposti e fecero parte del medesimo gruppo ai cui lavori G.D. Cassini partecipò in Roma, alla Corte di Cristina di Svezia, unitamente al Marchese  Palombara. Tali lavori si tenevano sia nella residenza di Cristina, sia nella villa del Palombara sull’Esquilino.
Visitare oggi ciò che ne resta della Villa, ossia il lacerto della Porta”magica” , è desolante. L’incuria e l’abbandono del sito, privo di qualsiasi copertura contro le acque meteoriche,  fanno presagire un ulteriore e rapido disfacimento del manufatto. Peraltro questi  è del tutto decontestualizzato: spostato rispetto alla originaria collocazione; privo del contesto funzionale  delle altre porte della villa; affiancato da statue di Bes che in origine non lo affiancavano affatto.
Quanto intendo sottolineare  e che ritengo fino ad ora nessuno abbia messo adeguatamente in luce, è che nel trasferimento della Porta dal suo luogo di collocazione originaria a quello attuale,  è andato distrutto il frontone, in alto : e ciò è molto significativo, perché priva il monumento della sua chiave di attribuzione al gruppo iniziatico che ne aveva promosso la costruzione e che lo utilizzava.
                                                   

 

Nell’immagine che ho ante proposto della Porta “magica” , e nell’arte la “cornice” è sovente assai importante siccome il contenuto in esso, e con esso sta in strettissima relazione,si nota infatti ,e non a caso  in posizione apicale il “Gornan sans Bras” della Brumosa.
                

Leggere oggi il monumento, senza tenerne conto, non può che diminuirne (e magari anche falsarne) l’interpretazione.
Ritengo pertanto sia invece giustificato, a seguito della sua presenza e della sua collocazione in tale preminente posizione,  attribuire la creazione e fruizione della Porta “magica” di Roma al medesimo gruppo iniziatico già manifestatosi a Bologna, ed altrettanto giustificato e fondato sia ritenere anche G.D. Cassini  presente e partecipe in tal gruppo, in Bologna prima (ed in posizione di preminenza dato che se ne fece portavoce), ed in Roma poi. (21)
Nel corso del 2006  è stato presentato a Perinaldo, nel corso di un apposito convegno cui ho partecipato con una breve relazione, prodromica al presente lavoro, un interessante documento inedito  intitolato Dictionnaire Historique  , rinvenuto nella Biblioteca Maraldiana, contenente lezioni di astronomia, pensieri sparsi,  considerazioni e disegni di G.D. Cassini, da Lui dettati in tarda età al nipote Giacomo Filippo  Maraldi (e in parte al suo segretario). (22)
All’interno di detto libro è stato ritrovato anche un foglio, staccato con lacerazione da un quaderno, contenente un’ode, di pugno di G.D. Cassini, del  cui testo  l’amico Michele Croese,  fornì  una prima lettura ed interpretazione. (23)
Avevo in allora fatto notare che il testo era sì interessante, ma che più interessante ancora mi appariva il supporto cartaceo che lo conteneva.
Avevo infatti notato che al centro del supporto era evidente una filigrana: un più attento esame ha rivelato che si tratta dello stemma araldico di re Luigi XIV di Francia, in uso per i regnanti  di Francia da quando Enrico IV re di Navarra, divenne re di Francia, fino alla Rivoluzione (1589-1789). (24)
                                           

 


                                     
Qui di seguito lo vediamo utilizzato come stemma a Nantes,  proprio da Luigi XIV, la cui iniziale L è collocata  tra due fronde e frutti di palma incrociati :  l’intero stemma è affiancato e sorretto da un festone ove ancora ricorre il motivo delle foglie e dei frutti.
               


Ciò testimonia della provenienza del foglio dalle carte private di Luigi XIV, da un suo quaderno filigranato.
A pag. 46 del Tomo primo dell’opera già citata di P. Belier, vengono sottoposti a decrittazione, secondo la Lingua Verde, partendo dal basso verso l’alto, come essa prescrive, le medesime rappresentazioni simboliche, come segue:


La paire de palmes                          Paire palmes =  PRPLM =  Parpoli Homme

 E la già incontrata                          Fruits feuilles =   FRFL =    Foret fils


“Dove l’espressione Parpoli homme designa il maestro perfetto; Foret fils o figlio della foresta è un modo di designare i “ Forestiers Fendeurs ”. Così l’insieme del rebus potrebbe essere una firma che segnala un maestro perfetto della branca dei “Forestiers”. (25)
L’espressione Parpoli viene da “pourpre”,  in quanto il diploma di Maestro era redatto in inchiostro di colore rosso.      
Traduco (grassetto, sottolineature caratteri italici sono miei) quanto scrive Grasset d’Orcet  nel suo commento alla  “Prefazione al Polifilo di M. Claudius Popelin “ : “Polia…..il tempo luminoso, è sposa della Bruma, che è  il tempo tenebroso. Polifilo… va alla ricerca del Poli Amour .  E Poli Amour   è rappresentato dalla palma della mano destra (Palme Or.) e Poli fils dalla palma della mano sinistra  (Tor Palme), il che si interpreta turpe l`âme o  el alma en la turpe . (26)

Il congiungersi delle due mani dà luogo al Pair Paulme , che deve intendersi l’Uomo compiuto. Era ciò che si chiamava l’affiliazione delle due mani

Ed ancora : ” ciò rappresenta il grado di maestro parplon o parpaulme , che significa parpoli-homme”
La palma, che in ambito cristiano è il simbolo ben noto della vittoria  del martirio, presso gli antichi egiziani, in quanto portatore di molteplici frutti,  era il simbolo della fecondità: Iside, Osiride ed altre divinità egizie svengono rappresentati spesso mentre portano dei rami di palma. per analogia, in Alchimia la palma è il simbolo della moltiplicazione. (27)
                                                 

Una rara incisione del 1598 - Adam Islip, The Mirror of Policie - mostra un massone  con gli strumenti della geometria , squadra e compasso puntato sul cuore: ma notiamo che è inserito ..tra le due palme. E’ il parpoli homme (George V. Tudhope, Bacon Masonry, Berkeley, 1954.)
Nella mitologia greca, la palma esce dalla terra a Delo, per servire da appoggio a Latona che deve partorire Apollo. In ciò si accorda per analogia con l’asse del mondo, o meglio ancora con il punto di appoggio che può servire a “sollevare il mondo”. (28)
Sempre Grasset d’Orcet (op.cit.):  ” il grado di parpolion licrane, accompli maître, o maestro completo, non veniva concesso  fino al compimento del ventiquattresimo anno.  L’insegna di questo grado è la canna (canne: caña, bastón) nel palmo sinistro (canne paulme tor)”.                      
                                                                         

 Parpoli Homme

                                                      

La trasposizione esatta dell’espressione Parpoli Homme viene dunque a coincidere con la presa d’amore fraterno della antica massoneria operativa, illustrata nel dipinto che precede.
                                

In allegoria è l’impegno al “segreto” (20)  
 L’anagogia  rimanda all’unione di amore divino ed anima

   
Così illustra Fulcanelli, in Le dimore filosofali, il cassettone “accipe daque fidem”, che si può osservare nel Castello di Dampierre in Charente :
“ E’ il mistero della parola nascosta o verbum demissum che il nostro Adepto ha ricevuto dai suoi predecessori  e che egli ci trasmette sotto il velo del simbolo, e per la  cui conservazione ci domanda la nostra, cioè il giuramento di giammai rivelare ciò che Egli ha giudicato bene di tenere segreto ”.
Nel suo Commentarium in Convivium Platonis(De Amore-Oratio quarta-Caput VI , così si esprime Marsilio Ficino: “Amor animas reducit in celum, beatitudinis distribuit gradus, gaudium largitur eternum….

Tria igitur ut brevi complectar amoris beneficia collaudabimus:
quod nos olim divisos in integrum restituendo reducit in celum,
quod suis quemque collocat sedibus facitque omnes in illa distri-
butione quietos, quod omni expulso fastidio, suo quodam ardore
oblectamentum quasi novum iugiter accendit in animo redditque
illum blanda et dulci fruitione beatum

Re Luigi XIV dunque, perché a lui appartiene la L intrecciata alle fronde e coronata, dichiara  con il suo stemma di appartenere a un ramo specifico della antica massoneria operativa, che lo sostiene ed affianca nella sua Arte Reale. (29)
Vedremo più oltre che questa  appartenenza troverà autonoma conferma dal documento in esame.
Segnalo per intanto che, nel convegno svoltosi a Perinaldo, la calligrafia di dello scrittore dell’ode è stata  unanimemente riconosciuta per quella autentica di G. D. Cassini.
Questi, essendone  evidente destinatario, avrebbe dunque ricopiato, per memoria, quanto qualcuno della Corte di Luigi XIV gli avrebbe inviato per esortarlo a lasciare Roma e la Corte di Cristina o comunque a non abbandonare la Corte di Re Luigi XIV medesimo. (30)
Ciò però su cui davvero intendevo ed intendo portare l’attenzione è la seconda filigrana presente nel foglio, nell’angolo in alto, a sinistra di chi osserva.
Il foglio in origine era piegato, quasi incollato,  in  quell’angolo, ad occultare la filigrana e lo si intuisce dalla foto.
Le mie dita, rimaste pur esse nella foto, hanno dispiegato l’angolo in alto a sinistra  e scoperto il motivo della seconda filigrana.

Ecco la seconda filigrana: il marchio di appartenenza ai Gault: i goliardi.

Nell’uso iniziatico, da porre anglé: nascosto nell’angolo. (31)
Luigi XIV di Francia dunque, nelle sue carte private, associa al suo stemma araldico nobiliare di Re di Francia e di Navarra,  quello iniziatico di appartenenza ai Gault. (32)
Ovvero alla antica massoneria operativa. (33)   
E abbiamo visto che alla medesima affiliazione apparteneva pure  G.D. Cassini.

         


Colbert presenta al Re Luigi XIV i membri dell’Accademia di Francia: G.D. Cassini è indicato dal tratto rosso.
        Sullo sfondo l’appena costruito Osservatorio Astronomico di Parigi

Ho riprodotto il suddetto marchio in filigrana,dopo accurata osservazione,  con un disegno a mano libera,  il più esattamente possibile,  al fine di renderlo meglio leggibile.
                                 

Tale rappresentazione rappresenta visivamente il “motto” iniziatico distintivo dei Gault: “ Il y a à mangér et à boire ”, di cui Sosthéne Grasset d’Orcet dà la seguente criptica lettura: “ sono le due colonne del tempio massonico Jachin e Boaz, in cui sta tutto il segreto della Dive Bouteielle”
Osservo che è una delle più originali e complesse rappresentazioni dell’Arco Reale di Gerusalemme, fondamento e scopo di una intera branca rituale della Massoneria Operativa prima e Speculativa poi, ove le due colonne sono rappresentate dalle loro iniziali , analogamente a come le si designa nei Templi della moderna Massoneria.
Una delle due colonne è discendente: Boaz, il che è reso dall’inversione basso-alto della lettera B “renvresé”. E’ la colonna Reale, dell’influenza ( e investitura e Grazia ) dall’Alto.
L’altra, Jachin, è la colonna ascendente, dell’azione religiosa operata per il ricongiungimento al divino, operando dal basso verso l’alto, rappresentata dal Calice: é resa dalla lettera Y,  che ricorda Ygeia.  Il termine pitagorico per Salute; cristiano per  Salvezza .
Le due colonne sono fra loro unite e collegate dal soffio divino ( il “ Ruach Elohim ”  situato nella medesima posizione e con al medesima funzione nell’architrave della “Porta magica” di Villa Palombara a Roma – una ennesima riprova della appartenenza  di Re Luigi XIV alla medesima corrente speculativa dell’Accademia Reale di Cristina ) : lo Spirito (divine=di-vine)  Santo  cristiano, che più sottilmente trasfonde sé medesimo nella Regalità, più latamente si effonde  sulla patena sovrastante il Calice,  un Santo Graal.
Vino e (pane) da mangiare: eucarestia misterica come fonte di salvezza, secondo l’Ordine Religioso della colonna Jachin, ovvero secondo l’ordine antico e primitivo  di Melchisedech.
Ma anche Cataro “consolamentum”:  ovvero battesimo nello Spirito e non nell’acqua. Non v’è infatti Ostia sulla patena  ( quando vi è, l’iconografia classica la mostra parzialmente o totalmente sollevata, cioè  in ostensione) .
Quello di cui parla “per aenigmata” Grasset d’Orcet ed é simbolicamente mostrato nella nostra filigrana, è infatti proprio il significato da darsi al “mangiare e bere” : la domanda cruciale priva di risposta (cancellata e perduta) dell’ “ Interrogatio Iohannis apostoli et evangelistae in cena secreta regni coelorum de ordinatione mundi istius et de principe et de Adam” (I Vangeli apocrifi, Torino, Einaudi, 1990, pag 570, a cura di M. Craveri): forse il documento più importante e misterioso dell’eresia bogomilo-catara..
Come che sia, dovremo indagarlo: comunque i segni, le immagini ed i documenti, ci hanno mostrato che Cristina di Svezia, Re Luigi XIV di Francia, le loro rispettive Corti ed Accademie, e in esse G. D. Cassini,  condividevano le medesime appartenenze esoteriche ed iniziatiche, aventi Centro a Lione, e punti di diffusione in Italia ed in Francia.
Usavano tutti della Lingua degli Uccelli e della Cabala Fonetica, per riconoscersi e comunicare occultamente. Per snellezza di presentazione, data la complessità dell’argomentazione a supporto,  ho posto in nota ho posto una importante applicazione ulteriore della Lingua Verde al’Ode,  a esplicazione e  delucidazione del verso finale di tale ode, che fa presumere l’aggregazione di G.D. Cassini, in Parigi, alla confraternita dell’Ordine interno dei Rosa+Croce. (26)
Di tali iniziatiche appartenenze godevano e partecipavano, nell’ambito dei rispettivi ruoli e competenze ( e sarebbe forse  più appropriato dirlo con l’antica espressione massonica , ovvero “ secondo i loro rispettivi gradi e dignità” ) .
 Nel  nome  di Dioniso, emergendo  dalla Nebbia e  guidati dall’Angelica custodia , protetti dalla società del Grifone, sotto l’egida dell’antica e cristiana massoneria operativa, affiancata e rinforzata dall’azione dagli Accettati , letterati editori e stampatori  in essa presenti, e ben massicciamente,  ben prima del 1717.
Aggiungerò in conclusione che, se con questo studio si sono rintracciati alcuni possibili motivi ed alcuni documenti che possono fare ascrivere G.D. Cassini alla proto-massoneria Operativa e secreta, è sicuramente documentata secondo i criteri della più moderna storiografia l’appartenenza alla massoneria, oramai Speculativa, palese ed ufficiale, del Maggior  Cartografo di Francia, Cassini terzo, de Thury (1714-1784).
Questi peraltro sviluppo, sistematizzò e diede compimento (insieme al figlio Cassini IV) all’immane lavoro cartografico di rappresentazione dell’intiera Francia,  iniziato dal nonno  G.D. Cassini e sviluppato  da suo  padre Jacques Cassini.
Cassini III, secondo figlio di Jacques,  fu allevato ed educato dallo zio Giacomo Filippo Maraldi e in età adulta lavorò alla definizione della cartografia di Francia insieme al cugino Maraldi.
Risulta a piè di lista , dal 1779, della R:. Loggia  “ la Philosophie ” all’Oriente di Parigi.
La statua dedicatagli nella “Cour Napoleon” del Louvre ce lo mostra però, significativamente e in ben più  giovane età,  nella precisa postura rituale “all’ordine” con il compasso aperto a 45 gradi, la  punta sul cuore, in  uno dei passaggi iniziatici massonici più impegnativi e perigliosi.    

Più importante ancora: Cassini III  risulta  aver ricoperto , nella parte ultima della propria vita, la carica di Maestro Venerabile della Loggia di Zante, nelle isole Jonie, allora sotto il controllo del Governatorato francese.  (34)   
                                          

Cassini III nella miniatura di Jean-Marc Nattier

                               
La presenza di Cassini III nel ruolo preminente di “istruttore dei fratelli col lume della sua Scienza muratoria” (35), in quel di Zante, ha rilevanza  per l’insorgenza del Rito di Misraim, che proprio là  ebbe una delle proprie radici.
Da Zante Ugo Foscolo giunse a Venezia, già iniziato misraimita.
Ciò è importante per definire l’acquisizione ed il transito del deposito di conoscenze sapienziali che il Rito di Misraim conservava e conserva  e delle quali Cassini III , a seguito del predetto coinvolgimento diretto ed in posizione gerarchicamente preminente,  può essere stato depositario e portatore.
Tali vicende  concerneno anche  la conoscenza del Casato degli Hautpol di Blanchefort  e dei Cavalieri Benficienti della Città santa.
L’organizzazione gerarchica  dei Gouliards prevedeva cinque livelli, dal più basso, quello riservato agli apprendisti, caratterizzato da 5 pilastri;  quello dei  Compagni d’arte, caratterizzato da quattro Pilastri; quello di maestro, caratterizzato da tre pilastri.
I segnacoli dei 5 pilastri, dei quattro pilastri, dei tre pilastri, i diverranno i cinque (quattro e tre rispettivamente) puntini in fila che si ritroveranno nelle firma di molti esponenti della proto-massoneria Ligure. (36)
I Due pilastri erano riservati al grado di perfezione.
Due pilastri sono in effetti  conservati nel Grado di Maestro  Discreto,  IV grado nella progressione due riti unificati di Memphis e Misraim, prima delle Camere di perfezione, nonché nel grado V di mastro Perfetto del sistema rituale del Rito Scozzese Antico ed Accettato.
Nel primo i due pilastri sono rappresentati coi loro colori, ascendente (rosso) e discendente (bianco),  come si può vedere dalla foto seguente  che mostra una parziale visione di tale Camera rituale.

 

Vediamo peraltro  i (medesimi?) due pilastri comparire in ambiente inglese, nella rappresentazione che ne dà il frontespizio dell’opera di Sir Francis Bacon, in Inghilterra, nel 1652. (37)
                                         

 

E’ anche significativo quanto leggiamo in Grasset d’Orcet (op.cit) in merito alla colonna Una , riservata al Creatore dell’Universo: “ quando questa è sormontata da un cubo, rappresenta il sepolcro ”….. ma non viene specificato di quale sepolcro si tratti.
Un suggerimento prezioso può forse darlo proprio l’immagine che segue, dato che il Rituale del IV Grado dell’A:.P:.R:.M:.M:. specifica trattarsi del “ Mausoleo di Hiram ”.
                                                                 


                                
Ho solo e semplicemente accennato, introdotto o solo sfiorato, con questo mio lavoro, alcuni aspetti problematici , che ritengo dovrebbero essere  meritevoli di specifici ed ulteriori approfondimenti:

-  dalla risorgenza templare o templari sta nella AGLA prima, nella Brumosa poi, alla sotterranea influenza gnostico  bogomilo-catara alla Corte di Francia;

-  dal connubio iniziatico fra le Famiglie Valois-Angouleme e Medici alla  perpetuazione nella antica massoneria operativa e nella proto-massoneria “speculativa” dei rituali di ispirazione egizia;

- dalla disputa Perrault-Cassini a quella Jacques Cassini-Desaguliers sulla scelta del meridiano fondamentale e sulle reciproche motivazioni a sostegno, dove la mistica Gallo- cristiana ha giocato, e perso,  una partita importante.

- dalla necessità di indagare più approfonditamente le radici esoteriche dei lavori di alcune Accademie del Seicento, sia Italiane che Francesi,  ai legami di luoghi e persone, appartenenti a tali Accademie, con Venezia,  il Veneto e l’Accademia Aldina e la successiva insorgenza del Rito di Misraim;

- dalla influenza in Cassini del pensiero neo-pitagorico di Pico, da Lui letto in inediti, alla Voarchadumia ed ai legami intercorsi fra Accademie Italiche  del ‘600 , i loro singoli componenti ,  l’Accademia di Francia  e la Royal Society.

 E  così per altro ancora.

Argomenti  di cui in precedenza  ho talvolta avuto modo di scrivere (38) e su cui , in grazia dell’ora e dell’età, nonché della buona Salute, mi auguro di  avere  occasione di tornare ancora, dato che, come sempre succede quando si cerca appassionatamente una cosa, altre ed interessanti se ne trovano, che richiedono ulteriori studi ed approfondimenti,  e di conseguenza, non tutto è stato ancora possibile qui dirne e descrivere, né avere compiutamente esaminato.
 L’ambizione del momento era però e per  intanto di onorare, con il Lavoro e lo Studio, una amica scomparsa e schiudere anche  in sua vece una porta:  quella che porge allo sguardo indagatore la visione della vita e dell’opera di G.D. Cassini, di un importante  scienziato del seicento interamente intriso e partecipe della cultura del suo tempo.
Cassini Gian Domenico emerge quale esponente di rilievo  di una cultura articolata e complessa, che non rifuggiva affatto, né tantomeno rifiutava,  ma anzi coltivava appassionatamente, la ricerca esoterica, nell’ambito di una più ampia  e libera ricerca scientifica e, al contempo, spirituale su base iniziatica.
Una ricerca libera che non ammetteva , ed anzi contrastava, i limiti imposti, mediante  la censura e il terrore, dal pensiero unico o dominante, fosse  esso ecclesiastico o statuale: ricerca collaborativa, fondata  sulla solidarietà d’intesa  degli uomini di Lettere e di Studio,.
Ricerca speculativa ed operativa insieme, sviluppata nel riserbo discreto delle Accademie e della Massoneria Operativa degli Accettati che in esse Accademie, con esse e tramite esse, realizzavano gli obiettivi di sociabilità  e di diffusione del pensiero,  altrimenti ed altrove  impediti o fortemente contrastati.
Gli scienziati ricercavano ivi  gli spazi del “ gai saber ”,  per promuovere   e perseguire l’obiettivo di una nuova scienza umana,  al servizio della creazione di una nuova e più giusta ed equa  socialità :  quella armonica ed armoniosa simboleggiata dall’Arcadia.
Lo scopo di questo mio scritto sarà quindi raggiunto se altri e differenti valenti scrittori vorranno passare attraverso la porta che ho cercato di schiudere, e in un modo o nell’altro, allargarne il varco , criticando,  correggendo,  sviluppando ed integrando le intuizioni, gli indizi e le prove che ho portato per una comprensione e valutazione più completa, e perciò più vera ed umana,  della complessa figura di uomo e di scienziato di  Gian Domenico Cassini.


Roma, 24 ottobre 2008 E:.V:. 000.000.000 di V:.L:.


Languasco prof. Giustino 33:.

 

 

Note

1)     “I Maraldi, astronomi anch’essi e per più generazioni, sono il ramo Italiano della Famiglia Cassini, i cui esponenti collaborarono con gli zii ed  i cugini Cassini in varie fasi e momenti della loro opera in Parigi. Presso il castello avito di famiglia, in compagnia dei nipoti Maraldi, Cassini, tornò , quasi cieco, nella fase finale della sua vita.  Per tale motivo  suoi scritti, editi ed inediti, si trovano in questa biblioteca.                                               

2)     “ Gio: Domenico Cassini – Uno scienziato del Seicento”  1994 -2003- Arti Grafiche Alzani Pinerolo (TO) per il   Comune di Perinaldo .  Le citazioni di tale testo si riferiscono all’edizione riveduta ed ampliata editata nel 2003. L’amico ed appassionato studioso Dott. Michele Croese ha fornito il commento ragionato dell’Ode inedita ed autografa di G.D. Cassini che verrà qui  riproposta e ulteriormente analizzata .
3) Anna Cassini,  pag. 243 op. cit.
4) British Library-Italian Academies - Academy of the frozen ones http://www.bl.uk/catalogues/ItalianAcademies/PersonFullDisplay.aspx?RecordId=022-000000078
5) Senato della Repubblica- Biblioteca Informatica- voce Accademia dei Gelati:
“Nell’anno 1588 il Dott. Melchiorre Zoppio, figlio di Girolamo, fondatore dell’Accademia de’ Catenali di Macerata, istituì nella sua casa un congresso di letterati, chiamandolo dei Gelati.
 Con lui furono i fratelli Berlinghiero, Camillo e Cesare Gessi. A quest’ultimo è stata attribuita l’iniziativa di fondare l’Accademia il cui stemma era una selva d’alberi ricoperti di gelo, col motto: “Nec longum tempus” che stava a significare che gli Accademici non sarebbero rimasti a lungo così inariditi.
Primo Protettore dell’Accademia fu il Cardinale Maffeo Barberini, poi Papa Urbano VIII,che consentì all’Accademia di adottare uno scolaro straniero.
Materia delle esercitazioni accademiche fu all’inizio solo la poesia, soprattutto quella erotica e le prime pubblicazioni furono tre volumi di Rime amorose. Poi si passò allo studio della filosofia alla maniera degli antichi simposi: banchetti eruditi e discussioni che gli Accademici intraprendevano a fine cena.
Nei due secoli della sua vita l’Accademia produsse una grande quantità di opere in ogni ramo del sapere, dalla letteratura alla filosofia, dalla musica al teatro.
Non ci sono tracce delle prime leggi degli Accademici Gelati, poi dal 1670 vennero stampate più volte in varie edizioni. L'Accademia dei Gelati si mantenne in attività fino alla fine del 1700. Nel 1786 era ancora fiorentissima, ma poi gli sconvolgimenti della fine del secolo ne provocarono lo scioglimento.”
6) Gli scienziati dell’epoca avevano peraltro ancora ben presente la pericolosità di esporre apertamente e palesemente novità scientifiche in contrasto con dogmi di fede, o comunque censurabili da potere ecclesiastico,  allorquando il conflitto fra Fede e Scienza spesso veniva risolto a favore della seconda con l’abbruciamento dei fautori della prima ( o delle loro opere o effigi se si era accorti e tempestivi nella fuga).
                Erano tutti peraltro avvertiti della sorte non felice toccata alla prima di queste Accademie, quella Romana di Pomponio Leto dissolta dall’inquisizione fra le torture dei suoi membri, accusati di voler ripristinare il pontificato massimo, quello “pagano”,  dell’antica Roma.
A Bologna nel Seicento «si privilegia la situazione delle scienze della natura, soggette all’innovazione epistemologica recata dal moderno metodo galileiano, in conflitto con le resistenze di coloro che all’università si professano ancora seguaci dell’aristotelismo».
Così scrive Andrea Battistini precisando: «A rendere più mosso il conflitto intervengono anche i gesuiti nel collegio di santa Lucia e i nobili della città che coltivano la scienza in veste di “dilettanti” colti, atteggiandosi spesso a mecenati che mettono a disposizione le sedi dei loro palazzi e dispensano i mezzi necessari al progresso della conoscenza»
In questo contesto, prosegue Battistini, «operano il matematico Cavalieri, l’astronomo Cassini, il fisico Montanari, il medico Malpighi, tutti “novatori”, gli aristotelici Montalbani e Sbaraglia, i gesuiti Biancani, Riccioli, Grimaldi, i nobili Cesare Marsili, Cornelio Malvasia, Carlo Antonio Manzini».
Così leggiamo in : A. BATTISTINI, Aldrovandi a Cappellini: quattro secoli di cultura a Bologna, «Quadricentenario della parola "geologia". Ulisse Aldrovandi 1603 Bologna», a cura di G. B. Vai e W. Cavazza, Argelato (BO), 2004, p. 63.
Questo occultamento prudenziale della verità, in attesa di tempi migliori, sotto forma di auto-censura, ha interessato peraltro sicuramente, poco tempo dopo, anche G.D. Cassini infatti :
“ Anche se non poté mai affermarlo apertamente, neppure durante il suo soggiorno in Francia, dato che in quel regno la sentenza di condanna della Chiesa nei riguardi di Copernico fu fatta osservare con rigore anche maggiore che non negli stessi domini papali, non vi è dubbio che una, e forse la principale, delle linee portanti del suo lavoro sia stata la ricerca di prove della validità del sistema di Copernico, una ricerca oltretutto indubbiamente molto fortunata.
Punto di attacco fu la questione della validità o meno, nei cieli, della fisica aristotelica o, come forse è meglio dire, peripatetica. Affrontare questo problema era legittimo dato che la Chiesa, nel condannare l'eliocentrismo, si era astenuta dal fare ufficialmente propria questa fisica”.
Così  si legge al “capitolo  10 - L'impatto della cultura galileiana - Da Bonaventura Cavalieri a Gian Domenico Cassini” della sua Storia il Museo della Spécola di Bologna.
In “Storia dell'astronomia da Talete a Kepler” J.L. Dreyer (1906; prima edizione italiana: Ed. Feltrinelli, Milano, 1970) parlando di Cassini  afferma (Nota 20, p. 388: “Essendo nato in Italia, era timoroso di pronunciarsi pubblicamente a favore del moto della Terra, anche dopo essersi trasferito a Parigi”.
E valga infine, a mo’ di suggello alla esigenza di “andare in pochi alle segrete cose”,  la divisa del contemporaneo Cartesio: “larvatus prodeo” ovvero “ mascherato io procedo ” e , per togliere ogni residuo dubbio, il suo motto: “ Bene vixit qui bene latuit ” .
Tale frase, derivata da “bene qui latuit bene vixit”, contenuta nel Tristia di Ovidio,  significa “ha vissuto bene chi ha saputo stare ben nascosto” e richiama apertamente l’analogo ortativo epicureo “ láthe biôsas”  "vivi nascostamente".
                                        

Cartesio


7)  Per la complessa storia di questa organizzazione iniziatica, rimandiamo a “La société Angélique” Patrick Belier Ed. Arqa,2005, ISBN 2-7551-0002-8 Tome I
8)  Da non trascurare nemmeno, “en avant scoperte”,  il Grifone rampante, ( il cui grigio intermedia tra i colori opposti, bianco e nero ), inserito nello scudo sannita  avente a sfondo il  baussant Templare, cui è sovrapposto, a significare la sopravvivenza dell’ordine vecchio nel nuovo ordine.
E’ raffigurato così nello stemma araldico del “Principe” dell’accademia Conte Valerio  Zani “il ritardato”, sormontato dal “capo di Francia”, ulteriore richiamo al legame profittevole  con la terra di Francia.
Per un più diffuso e preciso esame del mascherone mandiamo il lettore innanzi, al prosieguo del nostro studio.
9) Memorie imprese e ritratti de’ Signori Accademici Gelati di Bologna (Manolessi 1672) pag.110.
Tipografi delle Prose dell’Accademia dei Gelati sono i Manolessi ( o Manolensi o Manulesi ) ovvero Emilio Maria ed Evangelista Manolessi, figli di  Carlo Manolessi, libraio-tipografo, che nel 1644 era stato condannato a tre tratti di corda ed a tre anni di carcere per aver tenuto nella sua bottega libri proibiti
 Carlo Manolessi  nel 1655-56 curò la prima edizione delle Opere di Galileo,: in essa mancavano però sia la “Lettera a Cristina di Lorena” del 1615,  nonché “ Il dialogo dei massimi sistemi” del 1632: le due opere più ” compromettenti ” di Galileo.
10)  Sebastien Griphe (1492-1566) è il fondatore della “Bruillard” che traduco in “Brumosa”: una associazione segreta Lionese che opererà dal 1520. Il gioco fonetico Griphe-griphé-grifon ne è marchio di riconoscimento.
  Molto interessanti sono i legami che ha mantenuto durante al sua vita. Apprese in Germania dal padre  Michel Greyff( o Gryff, o Grifffe, o Gryph) il mestiere di stampatore. Poi si trasferì con suo  fratello Francesco, che si installerà  a  Parigi : un probabile altro fratello, di nome Jean, resterà invece a Venezia.
 Nel 1520 è a Lione dove mette su una stamperia per conto di alcuni librai di Venezia. Mantiene per il proprio noma la dizione di Griphius o , più spesso, di Gryphe. Si specializza colà nella pubblicazione dei classici latini, che traduce dal greco. Pubblica anche i grandi umanisti del tempo. Con l’aiuto finanziario di Hugues de la Porte, si rende indipendente dai suoi referenti veneziani e fonda l’Atelier du Griffon, adottando i marchi d’impresa  a forma di Grifone, che di seguito verranno mostrati. E’ il primo a introdurre in Francia  l’uso dei caratteri “italici”  inventati da Manuzio a Venezia nel 1501.
 Mentre si afferma sempre di più, introno al 1540, come stampatore a regola d’arte, tanto da essere definito dai contemporanei “il principe degli stampatori di Lione” il suo Atelier diventa uno dei punti di ritrovo più frequentato e stimato dagli umanisti, dai sapienti e dagli scrittori dell’epoca, quali André Alciat, Etienne Dolet (sospettatto di eresia);  Guillame Scève , Barthélémy Aneau.  In quel medesimo anno Rabelais si rivolse a Griphe per editare delle sue traduzioni. I saggi che frequentano l’Atelier discettano in francese, latino, greco, tedesco, ebreo  e ciò gli darà la possibilità di diffondere i libri della sua stamperia in tutta Europa.
Nel XIX° secolo Henri Baudier ne parlerà come di “ una società angelica per i liberi pensatori”.


                                                        
   Qui di seguito vediamo i marchi di questo imprenditore stampatore libraio: come registrati in Lione.
                     

Peraltro il grifone è un animale mitologico davvero antico.

Forse la più antica rappresentazione del Grifone, in questa tavoletta sumera del 3000 a.c., in funzione protettrice della divinità Nin gi zi da.

Un po’ meno antica è questa statua di Grifone  trovata in Egitto, a Saqqara e visibile nel museo di Alessandria d’Egitto.

                                                  

Negli anni intorno al 1670, così lo canta Guillaume du Bartas

[...] l'Indois Griffon aux yeus estincelans,
A la bouche aquiline, aux ailes blanchissantes,
Au sein rouge, au dos noir, aux griffes ravissantes,
Dont il va guerroyant et par monts et par vaux
Les lyons, les sangliers, les ours, et les chevaux :
Dont il fouille pillard le feconde poictrine
De nostre bisayeule, et là dedans butine
Maint riche lingot d'or, pour apres en plancher,
Son nid haut eslevé sur un aspre rocher:
Dont il deffend, hardi, contre plusieurs armees
Les mines par sa griffe une fois entamees


11)   Il che darebbe anche una qualche spiegazione non solo alle ”raccomandazioni” ricevute dal Cassini per il suo ingresso prima all’Università di Bologna, nonché successivamente alla Corte della Regina Cristina di Svezia ed alla Corte di re Sole, ma anche al  livello delle sue retribuzioni sempre, durante tutta la sua carriera professionale, e fin dal suo inizio,  costantemente più elevate di quelle degli altri professori e scienziati.
12)  “ Il grande dio della massoneria greca, così come di quella moderna, in effetti era Nephes, la Nebbia o lo Sconosciuto, principio universale, la nube che abbraccia Ixion e che i greci chiamavano la Confusa, l’ingarbugliata, Gryphe, con una testa di bue come geroglifico.
Questa professione di fede che i massoni dicevano di possedere dai druidi era adottata senza distinzione sia da quelli che sostenevano la Chiesa di Roma che dagli altri. Diceva: «Il druido non rende culto che al vero solo amore, chiave che apre le porte del cielo... Il massone ha per principio universale la nebbia  da cui esce il principe del vero, solo regnante».
13)  Scrive Andrea  De Pascalis ne: ” Il segreto degli Alchimisti” in Airesis (www.airesis.net): ” A Fulcanelli, mai altrettanto caritatevole, si devono ampie spiegazioni sulla cabala fonetica, in base alla quale per comprendere il significato di una parola occorre tener conto del suono dell'insieme di lettere e non dell'ortografia, che ne costituisce il velo. La cabala fonetica spiegherebbe,  ad esempio,  perché gli alchimisti facessero spesso riferimento alla leggenda di S. Cristoforo, il gigante che trasportò sulle spalle il Cristo fanciullo attraverso un fiume in piena. Secondo l'etimologia greca "Cristoforo" significa "colui che porta il Cristo", ma in alchimia,  per assonanza fonetica, diviene "Crisoforo", cioè "colui che porta l'oro". "Si tratta - afferma Fulcanelli - del geroglifico dello zolfo solare o dell'oro nascente (Gesù), innalzato sulle onde mercuriali e poi portato dall'energia propria di questo Mercurio, al grado di potenza posseduta dall'Elisir”.
         Traduco dunque ciò che dice Fulcanelli in “Le Dimore Filosofali” Tomo I: ” Ma ciò che è generalmente ignorato è che l’idioma al quale gli autori impronteranno i loro termini è il greco arcaico, lingua madre presso la pluralità dei discepoli di Hermes . La ragione  per cui non ci si accorge dell’intervento cabalistico sta proprio nel fatto che il Francese proviene dal Greco : di conseguenza,  poiché tutti i vocaboli scelti nella nostra lingua (il Francese, n.d.r.),  per definire certi segreti, hanno i loro equivalenti ortografici o fonetici greci, basta conoscere bene questi ultimi per scoprire immediatamente il significato esatto, ristabilito,  di quella. Benché il Francese , quanto al suo fondo, sia  davvero ellenico, il suo significato è stato modificato nel corso dei secoli, nella misura in cui tale lingua si è allontanata dalla sua sorgente.”
      “ I vecchi maestri, nella redazione dei loro trattati, utilizzarono soprattutto la Cabala Ermetica che chiamavano anche Lingua degli uccelli, degli dei, gaia scienza o gaio sapere.  In tal modo potevano occultare ai profani  i principi della loro scienza, avviluppandoli in una copertura cabalistica. “Specifica Enrico Maria Segni : “ Grasset d’Orcet  ha norme un po’ diverse, a modo suo più ampie.  Dai suoi studi ricaviamo una serie di esempi di letture cabalistiche, che seguono regole più complesse di quelle enunciate da Fulcanelli, e che in teoria ammettono qualunque lingua antica. La lingua francese, sostiene d’Orcet, tuttavia resta la più importante perché era la lingua della massoneria (operativa) che se ne serviva per comunicare gli emblemi dell’araldica, cioè era (ma è ancora) la lingua del blasone. Claude-Sosthène Grasset d'Orcet, (1828-1900) afferma:  “ La parola blasone viene dal greco: i tagliapietre hanno per patrono san Biagio, saint Blaise, il cui nome viene dal greco dove significa «parlare bleso».
Questa è la lingua del blasone, e se non la si trova armoniosa, va ricordato che era fatta per gli occhi e non per le orecchie.Si legge indifferentemente da sinistra a destra, sempre dal basso verso l’alto quando il soggetto è complicato. A piacere nei blasoni semplici. Il senso è indicato dalla disposizione delle figure.Per il resto si può consultare qualsiasi dizionario del blasone, notando ancora che la destra e la sinistra, o senestre, si pronunciano sempre OR e TOR. Quanto alle vocali, non se ne tiene mai conto. Nella lingua del blasone, il Vulgaire, il volgare, designa sempre il francese.... Non ci si deve stupire se la lingua francese è stata l’idioma adottato da tutte le tribù dei massoni d’Europa, molto prima della data in cui ha fatto il suo ingresso ufficiale nel mondo col famoso giuramento di Lotario e di Carlo il Calvo, perché tutto ciò che si è potuto raccogliere dell’antico gallico prova che era un dialetto abbastanza prossimo al latino. Infatti all’assedio di Gergovia Cesare non osò scrivere una lettera in latino perché poteva cadere in mano ai Galli, e tutti comprendevano la lingua di Cesare”.
14) Agostino Favoriti , Cleopatra in hortis Vaticanis (1662)
Silvula latina “Cleopatra in hortis Vaticanis “di Agostino Favoriti (1624-1682), dalla raccolta Septem illustrium virorum poemata (Anversa 1662) dedicata dal Moret al Cardinal Flavio Chigi.
Nel poemetto si finge che la statua allora creduta di Cleopatra morente (e poi da Winckelmann riconosciuta per un’Arianna dormiente) inviti Cristina di Svezia, in visita ai giardini, a rivolgere attenzione alla sua triste sorte; l’allocuzione alla regina genera l’occasione per una lode dei giardini medesimi  e l’auspicio profetico dell’arrivo di un “novo Alessandro”.
                           

Cleopatra ab Augusto in Triumpho Romanam allata in Hortis Vaticanis.

                          
15)   Secondo la tradizione il Bennu è un uccello sacro egiziano che nella mitologia greca prese il nome di Fenice Araba. Fenice deriva da phoinix che significa "rosso" o "albero solare" , fenice è anche il nome attribuito ad un tipo di palma da dattero.
L'araba fenice si presentava come un uccello simile ad un aquila reale con un becco affusolato e zampe lunghe ma con un piumaggio particolare: penne dorate sul collo, rosse nel corpo con la coda azzurra e rosa, le ali in parte dorate e di porpora .
Ha due lunghe penne,  talvolta erette o cadenti sul capo, una azzurra ed una rosa.
La fenice secondo la leggenda è un maschio ed è un unico esemplare che muore e resuscita.
Prima della morte la fenice costruiva un nido utilizzando parti di spezie ad esempio cannella, mirto, sandalo al riparo di un albero, una quercia o una palma e mentre intonava una bellissima canzone si lasciava incendiare dai raggi del sole e moriva nelle sue stesse fiamme inondando di profumo la zona circostante al suo nido grazie alle spezie che bruciavano con essa. Dalla cenere emergeva un uovo da cui rinasceva l'araba fenice nell'arco di tre giorni.
 Tale obelisco è l’unico fra quelli costruiti da Athanasius Kircher, a forte valenza iniziatica. .
La recente mostra in Roma , in castel S.Angelo, intitolata “ La Lupa e la Sfinge ” , dedicata all’influenza egizia sulla nostra capitale, se ha il merito di mostrare la avvenuta sovrapposizione della dedica, che in una sorta di “damnatio memoriae”, qualcuno aveva operato alla base di tale obelisco, cancellando il nome di Cristina per sovrapporci quello di un papa, ha il torto di non mostrare il bennu al suo vertice. E’ andato perso?
E’ chiaro che la mancata presenza del sacro uccello egizio, una vera Fenice, decontestualizza il reperto dalla sua originale ambientazione e  lo priva di una  buona parte della sua efficacia simbolica, voluta scientemente dal Kircher :  la volontà di celebrare in Cristina il risorgere della antica sapienza egizia.
Può anche darsi che la cancellazione del nome di Cristina e la sua sovrapposizione con quello del Pontefice Clemente IV sia dovuta a una “riciclo” del dono da parte di Cristina stessa , al momento della salita al soglio pontificio del nuovo Papa,Clemente IX,  succeduto ad Alessandro VII.
La Regina era abbastanza disinibita, e strutturalmente a corto di denari, da potersi permettere un simile comportamento.
Anche in tal caso, comunque e forse a maggior ragione, la presenza del Bennu (Grifone) avrebbe assunto il  forte significato esoterico di auspicio ovvero di avvenuta “trasmissione” della antica tradizione sapienziale egizia” e tale significato avrebbe allora assunto anche il primo nome dell’Accademia Romana di Cristina, ovvero Accademia Clementina.
Secondo la tradizione il Bennu è infatti un uccello sacro egiziano che nella mitologia greca prese il nome di Fenice Araba. Fenice deriva da “phoinix” che significa "rosso" o "albero solare".

La fenice accovacciata su Ta Tenen

Fenice è anche il nome attribuito ad un tipo di palma da dattero. E la Palma assume un particolare significato simbolico-allegorico, nell’ambito massonico,  che incontreremo  nel Grimoire Blanche.
L'araba fenice si presentava come un uccello simile ad un aquila reale con un becco affusolato e zampe lunghe ma con un piumaggio particolare: penne dorate sul collo, rosse nel corpo con la coda azzurra e rosa, le ali in parte dorate e di porpora .
Ha due lunghe penne,  talvolta erette o cadenti sul capo, una azzurra ed una rosa.
La fenice secondo la leggenda è un maschio ed è un unico esemplare che muore e resuscita.
Prima della morte la fenice costruiva un nido utilizzando parti di spezie ad esempio cannella, mirto, sandalo al riparo di un albero, una quercia o una palma .
Mentre intonava una bellissima canzone si lasciava incendiare dai raggi del sole e moriva nelle sue stesse fiamme inondando di profumo la zona circostante al suo nido grazie alle spezie che bruciavano con essa.
Dalla cenere emergeva un uovo da cui rinasceva l'araba fenice nell'arco di tre giorni.
16)  L’enciclopedia “Encarta” riporta questa definizione di Calligramma : “ Composizione poetica in cui la disposizione grafica delle parole sulla pagina serve a riprodurre soggetti figurativi.
Genere già usato dai poeti alessandrini di tendenza allegorica, come Simia di Rodi, Dosiade di Creta e Teocrito, e dai romani Levio e Publilio Optaziano Porfirio.
 Ebbe particolare fortuna nel medioevo in diverse forme: successioni di parole che aumentano progressivamente di una sillaba (ropalici), versi che si possono leggere a rovescio (anaciclici), versi le cui lettere iniziali seguono la successione delle lettere dell’alfabeto (alfabetici) ecc.
Tra le opere che fanno uso di questi artifici formali si ricorda il Liber de laudibus sanctae Crucis del teologo tedesco Rabano Mauro.
Il calligramma venne ripreso nel Cinquecento e nel Seicento e successivamente nel Novecento dalle avanguardie storiche.
Guillaume Apollinaire nel 1918 pubblicò i Calligrammes, raccolta di 86 poesie di cui 19 veri e propri “ideogrammi lirici” come nel caso di Il pleut (Piove).
 Se ne trovano esempi anche nella lirica futurista italiana, ad esempio in Zang Tumb Tumb (1914) di Filippo Tommaso Marinetti o in Chimismi lirici di Ardengo Soffici. “
Segnalo però, ad integrazione della voce enciclopedica ante  citata,  che l’origine del calligramma è molto più antica,  essendone testimoniato l’uso nell’antico Egitto,  con funzione evocativa e magico religiosa.   
Nonché in seguito nella Scuola Alessandrina.
              


Riporto qui due esempi tratti da “Magia Egizia”  di  E.A Wallis Budge (Newton Compton Editore 1980,  pag . 121) , ove si legge:  “  Sui papiri e sugli amuleti si trovano spesso con esse i nomi dei sette arcangeli di Dio … .
 In combinazione con un numero di segni che devono la loro origine agli gnostici, le sette vocali erano talvolta incise su delle lastre, oppure scritte sui papiri, con l’idea di dare al possessore potere per sconfiggere i demoni  e per ingraziarsi gli dei”. Nell’ambiente iniziatico di riferimento di G.D. Cassini,  rammento  la nota composizione di Rabelais , la Dive Bouteille. E sempre dal medesimo ambiente, l’uso di versi figurati nell’ Hypnerotomachia Poliphili.

La Dive Bouteille, de Rabelais

O Bouteille,
Pleine toute
De mystères,
D'une oreille
Je t'écoute :
Ne diffère,
Et le mot profère
Auquel pend mon cœur
En la tant divine liqueur,
Qui est dedans tes flancs reclose,
Bacchus, qui fut d'Inde vainqueur,
Tient  toute  vérité  enclose.
Vin tant divin, loin de toi est forclose
Toute mensonge et toute tromperie.
En joie soit l'aire de Noach close,
Lequel de toi nous fit la tempérie.
Sonne le beau mot, je t'en prie,
Qui me doit ôter de misère.
Ainsi ne se perde une goutte
De toi, soit blanche ou soit vermeille.


La prière de Panurge à la Dive Bouteille, au chapitre XLIIII du Cinquiesme livre de Rabelais, édition de 1564   
                             


17)  Si noti il motivo egizio  del  meri amon nella parte centrale  del lavoro in ferro battuto a chiudere la lunetta sovrastante il portone di accesso della Cappella Cassini a Perinaldo.
                                                        


 Confrontato con l’analogo presente al Santuario di Oropa ( Madonna Nera).
Il monogramma, leggibile con il tranquillizzante e cattolicissimo “ave Maria” è in realtà una sovrapposizione all’epiteto egiziano “amata da amon”, amata da Dio: meri amon, da cui gli ebrei deriveranno Miriam, il nome originario di Maria, che in sé ne racchiude il destino.
Il monogramma compare in molti luoghi dedicati alla devozione delle madonne Nere (a Viggiano in Calabria ed a  Loreto, ricamata sulla veste) e comunque  misteriosi: Santa Barbara dei Librai e Santa Maria alla Minerva a Roma;  Colleggiata di Santo Stefano ad Anguillara, sul lago di Bolsena; chiesa del Gesù Nuovo a Napoli;  Tempio Espiatorio della Sagrada Familia a Barcellona;   chiesa del Sagrat Cor sempre a Barcellona.
18)
Tale affiliazione di J.D. Cassini è asserita, per via documentale, da André Douzet, come attestata negli “Archives de l’Angelique”.  Riporto pertanto doverosamente la segnalazione e il suo autore, che ho personalmente conosciuto come persona squisita e serissimo studioso,  anche se non ho ancora avuto modo di compulsare di persona tale pubblicazione ed i documenti eventuali a corredo.
19) Il cardinale Federici e il Marchese Santinelli fecero parte dell’ Accademia degli Scomposti, i cui memebri figurano negli elenchi pubblicati  da Adolfo Mabellini in “L’Accademia Fanese degli Scomposti” –Tipografia Letteraria - Fano 1930
                                                          


20) Ecco le due colonne “Jachim e Booz”, probabilmente del XIII secolo,  come rinvenute nella Cattedrale di Wurzburg dedicata a s. Kilian, , nell’introito della fonte battesimale in bronzo, appena entrati, nella navata di destra.
                                          


Ed ecco il lavoro “in giglio” sulla colonna booz        

                                    

21)  L’ illustrazione della Porta magica è   una incisione tratta da Heinrich Madathanus, Aureum Saeculum Redivivum, 1618 , ovvero dall’opera di un contemporaneo che vide l’impianto originario.
Per maggiore evidenza, riporto qui di seguito il Gornan sans  bras   che si può Vedere a Lione su uno degli antichi capitelli che ornano la porta di entrata della sede della Angelique.

22)  Tale reperto è stato presentato sulla Rivista Trimestrale “Giornale di Astronomia a cura della Società astronomica italiana” ,  Fabrizio Serra Editore Pisa –Roma , direttore R. Bònoli.
23) Qui di seguito riproduco il lavoro dell’amico Michele Croese, presentato nel Convegno di Perinaldo           
                   


Con l’avvertenza che, a mio avviso, il “novo Alessandro” di cui si tratta è sì Luigi XIV , ma il vecchio Alessandro, che pur non nominandolo si richiama, è Cristina di Svezia, che a tale antico eroe si ispirava, tanto da farsi  aggiungere il nome di Alessandra in sede di Battesimo, e di farsi elogiare ed esaltare in privato col medesimo nome volto al maschile.
Ciò darebbe altresì spiegazione al verso secondo dell’Ode,  ed al riferimento in esso contenuto  all’ ” Arto gelido e severo”,  che ben si addice ai territori nordici svedesi, patria di Cristina,  e che resta invece  del tutto inspiegato nel lavoro di Croese.
Altrettanto da decrittare sono le parole finali, che sono sì la chiave, ma ermetica,  dell’intero componimento. Se la loro compiuta spiegazione fosse infatti quella proposta da Croese, che è pur valida come primo e letterale livello di interpretazione, non si spiegherebbe però la necessità dell’uso delle due maiuscole “in Regio Core”.  Perché mai le iniziali maiuscole? A che servono, se si tratta solo di una apodittica e indimostrata indicazione morale (ammesso super encomiasticamente , e non concesso, che davvero l’aggettivo “immenso” potesse riferirsi alla morale individuale del   Re Sole)?
Ritengo che, seguendo le indicazioni che Dante fornisce nel suo “De vulgari eloquentia”, in tale scritto iniziatico, si debba ricercare sia il senso allegorico che quello anagogico.
Quello anagogico ritengo vada cercato secondo la Cabala Fonetica dove “Regio Core” volto in francese dà  “ Roi Coeur ”:  si è già detto che le maiuscole servono da indizio al termine centrale del rebus, e le vocali non contano. E in coerenza con tali regole , va  “letto dal basso verso l’alto”: ciò significa che il verso più importante, quello che contiene l’essenza del messaggio, è l’ultimo dell’Ode.
Su questo pertanto ho concentrato la massima attenzione
Il verso medesimo ci dice dove collocare il termine “immenso” , cioè “in” Regio Core, che va interpretato “litteralmente” dentro, in mezzo, al Regio Core.
Abbiamo allora:  Troverai  R immenso CR
Immenso può essere ridotto simbolicamente con la croce cosmica +
 Abbiamo pertanto:  Troverai  R+CR = troverai i Rosa +Croce.
Il ché dà una spiegazione più puntuale e storicamente giustificabile anche ai precedenti  “ peregrini ingegni ”: sarebbe cioè  un chiaro richiamo all’obbligo degli appartenenti all’Ordine dei Rosa +Croce , i quali giuravano di svolgere la loro professione quali “monaci itineranti” ( “nobili viaggiatori” , nell’espressione di Cagliostro ), così come “monaci itineranti” egualmente furono i primi Gault.
Non ho infatti trovato riferimento od aggancio letterario per la lettura di Croese: peregrini = straordinari, ed anche per tale motivo la sua  lettura del verso  mi appare straordinariamente debole.
Dal punto di vista anagogico, seguendo al mia lettura interpretativa,  si tratterebbe invece , al contempo, di una promessa e di un altissimo invito di ordine spirituale rivolto a G.D. Cassini , molto ambito dai savants,  in quei tempi: andare a congiungersi (alla corte del Re Sole)  al non plus ultra degli Ordini iniziatici, l’interno ordine dei Rosa+Croce.
L’ode dunque , coerentemente, si chiuderebbe con una esortazione criptata ( ma che Cassini poteva decrittare) comportante un premio ambito: se Cassini si recherà a Parigi, sarà accolto da e tra i Rosa+Croce.
Sappiamo come è finita la storia: Cassini I decise di non mancare a quell’appuntamento.
E ciò mette nuova luce ed apre all’indagine di una nuova storia, ancora tutta da studiare e rivelare: quella dell’Opera realizzata a Parigi, da G. D. Cassini, sotto l’egida della sua nuova appartenenza iniziatica ai Rosa+Croce.
24) Il prof. Gian Carlo Alessio, dell’Università di Venezia, nel discorso introduttivo al suo corso di Istituzioni di Filologia dell’anno accademico 2005-2006, ha scritto: “Osservando contro luce un foglio di carta a mano si osserva un traliccio più chiaro, in corrispondenza dei fili sui quali poggiava la pasta, che ivi rimaneva un poco meno densa (vergellatura). Quando le cartiere cominciarono a moltiplicarsi ognuna sentì la necessità di distinguere il proprio prodotto da quello delle altre. Fu allora fissato a metà della forma un filo d'ottone o d'argento piegato ed avvolto in modo da formare un disegno ( in forma di stella, animale, frutta, croce, campana ecc.) che, una volta asciugato il foglio, si può vedere in trasparenza. Si ebbe così la filigrana il cui più antico esempio conosciuto appartiene probabilmente ad una cartiera di Fabriano ed è del 1282. Essa è sovente utilizzata anche oggi con la stessa funzione.
Lo studio delle filigrane può essere di grande importanza per determinare la provenienza e la data di preparazione della carta, non quelle dello scritto, che può essere stato tracciato in un tempo assai posteriore ed in un luogo diverso rispetto a quello di produzione del suo supporto.
C. M. Briquet, figlio di un libraio ginevrino, ha registrato 16.112 tipi diversi di filigrana (in uso tra circa il 1282 e il 1600), trovati in documenti di cui si conosce con sicurezza la data  ed il luogo di provenienza.  
Il paragone tra l’immagine della filigrana registrata da Briquet e quella che si può trovare in manoscritti cartacei di data e provenienza incerta o sconosciuta può utilmente avviare ad una loro collocazione geografica e temporale. ”
Il libro di riferimento, ante citato dal prof. Alessio,  è:  C. M. BRIQUET, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier dés leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600, Genève 1907, 4 voll. (rist. Leipzig, Hieresemann, 1927 e, con aggiunte al I volume, Amsterdam, The Paper Pubblications Society, 1968).Per quanto  più strettamente afferisce il presente lavoro  è importante ricordare lo studio storico di Harold Bayley ( “A New Light on the Renaissance, London, John Dent, 1909) da cui risulta che la Provenza per molti secoli svolse la funzione di  maggior centro mondiale di produzione della carta.
 Furono gli Israeliti  che svilupparono tale produzione di carta da cotone, utilizzando  ed evolvendo le tecniche acquisite dagli egiziani nel trattamento del papiro,  e che  esportarono tale produzione e commercio in Provenza, a seguito dell’esilio seguito alla disfatta del 73 d.c..
Dal Regno ebraico di Settimania la conoscenza della produzione cartaria passò all’intera Linguadoca, e divenne una delle principali occupazioni dei Catari, insediati prevalentemente su tale territorio, prima e soprattutto dopo (unitamente al mestiere di scalpellino e lapicida) la Crociata che ne distrusse il culto.
Le prime filigrane provenzali conservatesi risalgono al 1282 e quindi contendono il primato dell’antichità a quelle di Fabriano.
Sempre Harold Bayley, nell’altra sua opera interpretativa dell’argomento ( The Lost language of Symbolism”, London, Williams and Norgate, 1912) afferma in merito alle filigrane Provenzali:
 “ sono fossili del pensiero che racchiudono aspirazioni e tradizioni.
Costituiscono documenti storici di grande importanza, che gettano luce non solo sull’evoluzione del pensiero europeo, ma anche su molti oscuri problemi del passato…..Sono spiegabili in base ad un codice interpretativo”.
Senza voler entrare nell’esame specifico di tale codice interpretativo, che esula dagli intenti di questo scritto, mi limito a ricordare come indagini storico documentali, svolte nel secolo scorso  abbiano individuato ed identificato molte filigrane di ispirazione catara, cariche di significati simbolico religiosi, occultate nelle pagine di molte Bibbie “ortodosse”  francesi .
In tal modo, una particolare applicazione del letterario “falso sembiante”, tali filigrane sono riuscite a sfuggire alla censura  e all’abbruciamento dell’Inquisizione.
25)   “L” ,  per singolare coincidenza, era anche, nella antica massoneria operativa, la lettera identificativa del Maestro massone. Nella massoneria speculativa ne è rimasta la memoria nel gioiello indossato dal maestro venerabile.
26)   Il ché ci riporta ai motivi di fondo dei lavori Accademici:  i tormenti dell’anima piombata nella tristezza e nell’abisso della carne e/o di questo mondo . Un tema Ermetico ma anche Cataro, seppure molte e significative siano le differenze di impostazione e di approccio far queste due impronte filosofiche.
27)  La parola “ fecondo” ,” fecondità” assimilabile alla parola prosperità, è tipica del saluto fra Fratelli nella antica massoneria operativa. Per la precisione è l’unione del duplice auspicio tradizionale: “ salute e prosperità ”= fecondità. Simbolicamente è presente nelle logge sia come “giglio” laddove allude alla fecondità materiale; sia come melagrana spaccata, laddove allegoricamente allude alla fecondità o generazione spirituale. L’uso del termine, assolutamente inusuale al di fuori del suddetto ambiente, da parte di Crescimbeni  ( che in seguito diverrà il primo “ custode” dell’Accademia degli Arcadi ), nonché lo stile, il metro e la costruzione sintattica del verso, mi fa pensare che proprio lui possa essere l’autore dell’Ode. Lascio giudicare al lettore la bontà di tale ipotesi:

"Il vostro seme eterno
Occuperà la terra, ed i confini
D'Arcadia oltrapassando,
Di noi più visti gloriosi germi
L'aureo feconderà lito del Gange
E de' Cimmeri l'infeconde arene"
"Son de' Liguri Eroi vanti giocondi
Crescer a I Re non conosciuto Impero
Là sotto l'Arto gelido e severo
Fa che portino April Gigli fecondi
E del Gallico Sol fa che circondi
Il folgorante ardor Cielo straniero"



La prima è dalle Rime del Crescimbeni, la seconda dello sconosciuto autore dell’Ode, di cui propongo qui la illustrata partizione in strofa, parallela a quella del Crescimbeni e diversa da quella proposta da Croese.
Una ultima notazione mi sia consentita in merito all’associazione di cui alla prima riga dell’Ode  fra “Liguri Eroi”e “vanti giocondi” : tale “giocondità”, che deriva dalla capacità di penetrare il “non conosciuto Impero”  mediante l’”eroico “ furore del Ligure, ricorda molto il “gai savoir” del trobar cluz.
E’ infatti possibile una lettura della strofa, che rimane del tutto irrisolta nella interpretazione di Croese, di secondo livello, secondo il Grimoire Blanche.
La strofa dunque  auspica nascostamente con vigore( quasi ordina segretamente : “ non conosciuto impero (cioè comando che)  co-là” ) “sotto l’Arto gelido e severo” avvenga “una alleanza fra i “Gigli fecondi di Francia” ed i “liguri Eroi del gai saber”, capace di portare “Aprile” (una nuova era, il primum ver) ove ”crescerà un re” (ovvero a Parigi ).  La i di “ai” infatti non è una i: tutte le i della’ode sono inclinate a destra e sovrastate dal puntino. Non così la “I” della seconda riga della strofa, che ha più l’ aspetto di una barra verticale, quasi un I romano, non ha il puntino ed è pure spazialmente e significativamente distaccata dalla precedente “a”.
V’è infine un ulteriore indizio che il grimorio bianco vada applicato alla strofa, scritta nel linguaggio degli uccelli: la sua parola iniziale”Son” vale per “Suono” , “canto”dopo di che si trova  Re – La Fa –Sol –Fa in ogni riga da interpretare secondo il grimorio . Non dobbiamo infatti dimenticare che i Gault furono pur sempre  Menestrels  (de Murcia).
“I menestrelli di Morvan esistevano ancora all’inizio del secolo scorso, sotto il nome di “Fendeurs” o “Buoni Cugini” ed erano identici, quanto alle loro origini, ai carbonari italiani.  Lo scopo di questa associazione, madre di tutte le massonerie moderne,  era quello di aiutare i viaggiatori che, nelle foreste o lungo le strade, potevano correre dei pericoli. Chiunque fosse affiliato ai “Fendeurs” faceva allora il segno o pronunciava il motto di riconoscimento  e, se nelle vicinanze era presente un “Buon Cugino”, questi accorreva immediatamente in suo aiuto. ….omissis… così tutti color che viaggiavano, per lavoro o per diletto, si facevano affiliare. Ordunque gli antichi menestrelli erano per loro  natura girovaghi, esposti perciò a pericoli di ogni sorta, e si può pertanto capire l’utilità che essi traevano da tale affiliazione.
I menestrelli di Murcia differivano da quelli di Morvan per il luogo di origine: questi ultimi venivano dalla regione del Morvan, gli altri si richiamavano ai Goti che avevano dominato il nord della Spagna, il Mezzogiorno di Francia ed una parte dell’Italia. Entrambi si servivano del medesimo idioma: il latino volgare  o Francese (antico)….omissis….I Menestrelli di Murcia venivano per la più parte dalla classe artigiana, i Menestrelli  di Morvan  invece dalle classi alte.
All’inizio del secolo XVI i Menestrelli di Morvan presero partito a favore del Connestabile di Borbone, signore del Morvan, e dato che rappresentavano il partito aristocratico, restarono fedeli alla sua causa, il che portò Francesco I ad appoggiarsi ai Menestrelli di Murcia.
I Menestrelli di Morvan erano originari del Forez e vi si erano perpetuati dopo i Druidi ed il loro appellativo , così come quello dei Menestrelli di Murcia, risale all’epoca druidica.( Traduzione mia da da Grasset d’Orcet,” Materiaux Cryptographiques”-Bernard Allieu-1983“).
E’ interessante notare che Murcia, oltre che essere una regione geografica ben precisa della Spagna, è anche, con il nome di Marica ovvero di Marca, la dea più popolare del mondo antico. I Galli la chiamavano sia Marca che Rosmarta e la rappresentavano con un martello.  Alle divinità del sole calante o “nere”( quali Marcus e Marca)  si deve per l’appunto l’orientazione delle cattedrali  est ovest, con facciata però posizionata a Est( come ad esempio la Collegiata di San Martino a Marsiglia).
E ciò rammenta che “le madonne delle cripte romaniche sono egualmente di colore nero” (Traduzione mia, da Grasset d’Orcet “Les Ménestrels de Murcie et de Morvan”)


Riecco comunque il Grifone, all’inizio dell’Opera forse più importante di Crescimbeni:.


       
28) Susanna Åkerman in : “ Cristina Di Svezia (1626-1689), la Porta Magica ed I Poeti italiani dell’aurea Rosa Croce ”, scrive:  “Gli elementi rosicruciani che sarebbero affiorati in Italia, tuttavia, sembrano essere scaturiti da un interesse puramente alchemico; le operazioni trasmutatorie promettevano una prossima restaurazione dell’età dell’oro ed erano soprattutto adombrate in forma poetica.
Nel 1659 Francesco Maria Santinelli scrisse un poema, il Carlo V, dedicato all’imperatore Leopoldo a Vienna. In esso vi è un verso che recita: "…la mia Rosa Croce Aurea fortuna…" (V. 89)…      ….omissis…
In un’altra raccolta di versi, scritta nel 1656 a Roma dal marchese Massimiliano Palombara, La Bugia – di cui è conservata una ulteriore stesura nella collezione di Cristina della Biblioteca Vaticana (Ms. Reginensis Latini 1521) – si può leggere : "….una compagnia intitolata della rosea Croce, e come altri dicono dell’Aurea Croce…". Tali riferimenti sparsi corroborano l’ipotesi che, tra gli alchimisti italiani, si fosse sviluppata un’identità rosicruciana – identità che può essere considerata come una prefigurazione del Gold - Und Rosenkreutz Order fondato da Sincerus Renatus (Salomon Richter) nel 1710.
Nel 1656, come puntualizza Mino Gabriele, un Signor Francesco Melosi  legge alcuni versi sulla Bugia (il candelabro) nell’accademia di Cristina, pronunciando frasi come "..la Bugia su l’argento e vera alchimia" (Ms. Barb. Lat. 3885 fl. 85r-88r). Cristina quasi certamente ha contatti con poeti ed alchimisti che hanno preso parte alle aspettative rosicruciane. Vi è anche un disegno alchemico di pugno della regina che illustra alcuni apparecchi alchemici di distillazione. Dobbiamo tuttavia ricordare che gli accenni ai rosicruciani nel testo di Palombara non ricorrono nella versione della Bugia posseduta da Cristina. Esiste comunque un altro manoscritto della sua collezione francese, intitolato Veritas Hermetica (Ms. Reg. Lat. 1218). Questo testo riporta alcuni brani sulla raccolta della rugiada e sulla sua lavorazione e fa inoltre riferimento ad alcuni Fratres Rori Cocti (fratelli della rugiada cotta) ...omissis…
L’Aureum Seculum Redivivum di Henricus Madathanus è assai suggestivo in relazione alla figura di Cristina, dal momento che descrive, oltre a vari esempi di saggezza muliebre come Rachele e Lea, una figura regale femminile che ricopre, nel testo, vari ruoli (in versione inglese ).
Significativamente Madathanus conclude il testo definendosi "frater Aurae Crucis". Nel 1625 il libro fu ristampato in due diverse edizioni, una indipendente, l’altra all’interno del Musaeum Hermeticum di Lucas Jennis, che aveva anche edito le opere rosicruciane di Michael Maier. “
Ho messo il grassetto ed ho sottolineato i passaggi da cui risultano coinvolti nella R+C  alcuni dei membri più significativi della Accademia romana di Cristina di Svezia, i medesimi frequentati da G.D. Cassini. E’ quindi plausibile che questi avesse già sentito parlare ed avuto informazioni e conoscenze della R+C  durante la sua permanenza in Roma, direttamente da queste persone. Altrattanto plausibile che gli si fosse presentata dunque come allettante la possibilità di trovare in Parigi la vera R+C e.
Sempre in grassetto ho messo altri asserti, che testimoniano, io credo, del programma ri-voluzionario politico di tale cerchia iniziatica, volta a re-instaurare una “età dell’oro”. Altrove abbiamo visto come nelle Accademie si lavorasse a tale obiettivo con la ricerca della unificazione del sapere disperso tramite la sua ricomposizione, usando anche  del metodo scientifico(gli Scomposti) , così da accelerare il disgelo del sapere e tramite esso e con nesso il sorgere della nuova era ( I Gelati).
In merito anche a ciò vi è stato un interessante  dibattito , intitolato significativamente “Una questione relativa alle origini della massoneria”  fra due animatori della rivista Episteme(Episteme. Pistis e Sophia nel III millennio, An International Journal of Science, History and Philosophy , a cura del Prof. Bartocci, dipartimento di Matematica Università di Perugia) , che purtroppo ha cessato le pubblicazioni: Franco Baldini e  Bruno D’Ausser Berrau.
                Il dibattito ha avuto origine dalla seguente, scanzonata,  domanda di Baldini:
 “ Dunque, a partire dal settecento, un sacco di signori pieni di interessi esoterici ma che non avrebbero toccato mattoni e calcina neanche con la punta della loro canna da passeggio si fanno all'improvviso un punto d'onore di potersi chiamare "muratori": strano fenomeno, che viene spiegato come ho detto prima.
Facciamo ora un passo indietro: a partire dal quattrocento, un altro sacco di signori pieni anche loro di interessi esoterici ma che non sapevano neanche come era fatta una pecora o una capra, perché non le avevano mai viste se non nella forma di stufato o di arrosto, si fanno ugualmente un punto d'onore di potersi definire "pastori". Tipi decisamente chic come Renato d'Angiò o lord George Stuart si fanno ritrarre in improbabili vesti pastorali, con in mano dei lunghi bastoni; intellettuali come Sannazaro scrivono cose come "L'Arcadia"; grandi pittori fanno quadri sul tema; la faccenda viene presa non come un divertimento di corte ma dannatamente sul serio e dura fino a tutto il seicento, fino all'Accademia dell'Arcadia fondata da Cristina di Svezia. ( sic! …veramente Cristina fondò l’Ordine dell’Amaranta e l’accademia di Arcadia fu fondata solo un anno dopo la sua morte:  i suoi temi erano già trattati  o comunque “ in nuce ” ben prima della sua morte, nell’Accademia Reale).
Poi zac, tutto finisce di colpo. Al volgere del secolo - non si capisce perché - non gliene frega più niente a nessuno della pastorizia perché gli stessi signori corrono in massa a interessarsi all'edilizia. Non è strano?
Ora, se noi tentiamo di spiegare la genesi del movimento arcadico come spieghiamo quella del movimento massonico, ci rendiamo conto di colpo dell'incongruenza: dovremmo ammettere che, fino al trecento, siano esistite associazioni di pastori "operativi" che includevano anche qualche "speculativo", che so, il veterinario e il commerciante di formaggio; dopodiché, con il quattrocento, gli "speculativi" diventano la maggioranza e la "pastorizia teorica" si stacca definitivamente dal mestiere effettivo del pastore. Ridicolo.
Insomma, quello che ha cominciato a disturbarmi nella spiegazione delle origini della Massoneria è che funziona bene solo per essa mentre, se si cerca di applicarne lo schema a un fenomeno precedente ma assolutamente analogo come quello dell'Arcadia, diventa notevolmente sciocca.”La domanda posta da non è affatto peregrina, e fa il paio, se così si può dire, con quella che ben prima si pose Disraeli in un saggio contenuto in “Curiosities of Literature” Vol II (ripubblicato in e-book da Project Gutemberg - London 2005) ed intitolato “ On the ridicolous titles assumed by Italian Academies ”. Disraeli sospettava che  i veri motivi delle intitolazioni ridicole delle accademie e dei suoi membri, nascondessero il bisogno di una “copertura ” rispetto alle ingerneze e possibili oppression e censura da apret della Corte papale:   “ I conjecture that the invention of these ridiculous titles for literary societies was an attempt to throw a sportive veil over meetings which had alarmed the papal and the other petty courts of Italy; and to quiet their fears and turn aside their political wrath, they implied the innocence of their pursuits by the jocularity with which the members treated themselves, and were willing that others should treat them. This otherwise inexplicable national levity, of so refined a people, has not occurred in any other country, because the necessity did not exist anywhere but in Italy.”
  Franco Baldini ha comunque provato  a  darsi una risposta: “ Perché invece non ipotizzare che i signori quattrocenteschi che iniziarono il movimento arcadico intendessero il termine "pastore" nel suo senso metaforico, cioè in quello di "custode", intendendo che erano tali non perché eredi di qualche forma di "pastorizia operativa", sul tipo della mungitura, ma perché custodivano qualcosa, per esempio una tradizione riservata?         
                        


Non è esattamente quello che fanno i preti? E perché lo fanno? Non certo perché Cristo era effettivamente un pastore ma perché una volta fece un uso metaforico del termine.
Supponiamo dunque che questi signori si definissero "pastori" perché si consideravano i custodi di qualcosa: ciò significa che questo qualcosa c'era ed era anche in buona salute. Si arriva alla fine del seicento e la pastorizia perde di colpo interesse.
Ciò potrebbe voler dire che comincia a mancare la cosa da custodire: un pastore senza gregge (fosse anche un gregge di conoscenze) che pastore è? Ecco allora che, in un breve volger d'anni gli stessi signori si sbrigano a diventare "muratori": passano cioè dall'idea del "custodire" a quella del "costruire", anzi, più precisamente, del "ricostruire". Abbiamo qui l'idea che qualcosa si è perso, si è rovinato, quindi non può più essere semplicemente custodito ma va ricostruito. “
                                                


Lo stemma di Giovanni Maria Crescimbeni , primo custode degli Arcadi


               
Per quanto ci riguarda sottolineamo chele distanze fra Arcadia e Massoneria sono forse meno ampie di quanto pensa Baldini:  il termine inglese “fellow”, corrispondente al  secondo grado della Massoneria Operativa, può assume proprio il significato di “custode”.  Scrive infatti  Ruggiero di Castiglione in Corpus Massonicum (Atanor- Roma 1984 pag. 219):” Il termine fellow discende da un protogermanico fechu  “mandria”  e da una radicale indoeuropea Pek “proprietà”….dunque secondo l’etimo i fellows si identificano con i “custodi del gregge” cioè coi primitivi pastori dell’antica Britannia”.
29)  “ Nella storia dei tempi moderni nessuno ha giocato un ruolo più considerevole dell’associazione secreta conosciuta, dall’undicesimo al tredicesimo secolo, sotto il nome di Gouliards ovvero Fils de Goulia. Tale associazione s’è dissolta solo all’inizio del secolo XIX , dopo aver pienamente raggiunto lo scopo che si era proposta per più di mille anni, ovvero di sostituire la sovranità del popolo a quella della Chiesa e della Nobiltà.  La distruzione della Regalità non faceva parte del suo programma: si può anzi dire che , per molti secoli, i “fils de Goulia furono i più fermi sostenitori del potere Reale ” Grasset d’Orcet,”Les Gouliards” in La Revue Britannique, dicembre 1880.
In caldea la divinità femminile sposa del sole Samash si chiamava Goula.
30)   L’eventuale attribuzione della scrittura ad altro estensore non toglierebbe comunque alcun  valore dimostrativo  al documento, dato che non inficerebbe le circostanze di tempo e di luogo della sua redazione. Né il fatto che fu stilato su carta del Re, e che questa abbia  la doppia filigrana. Potrebbe anzi essere un buon indizio da cui partire  per andare a ricercarne  l’autore,  ed al contempo il (i) quaderno da cui il foglio è stato strappato. Né verrebbe meno il fatto che G.D. Cassini tanto teneva  a quel foglio strappato, da portarlo con sé in Italia ( e forse proprio a tal fine Lui medesimo lo strappò dal quaderno originario ).
31)   Nel recente film  “National Treasure” , in Italia presentato sotto il titolo “Il Tesoro dei templari”, protagonista John Cage, si fa cenno  al medesimo metodo dell’ “anglér ”, ovvero “ nascondere mettendo nell’angolo ”,  solo che si sviano i profani indicando (volutamente e  coscientemente?)  l’angolo sbagliato dei documenti in cui cercare.  Accenno qui solo di sfuggita alla conoscenza del medesimo metodo in ambito ebraico dove, durante il Seder, il “resto” di Israele (l’azzima nascosta) viene volontariamente occultato e alla fine ri-scoperto.
32) Scrive Paul Naudon, “Rabelais Massone- saggio sulla filosofia di Pantagruele” Editrice Atanòr s.r.l.Roma 1985, pag. 118: ” La confraternita dei Gaults. Per poter meglio capire il carattere ed il simbolismo delle confraternite di massoni, è utile ricordare che i costruttori si erano dati il nome di “Gaults”. Il loro simbolo era il coq(gallo) e il pape-gault (pappagallo). Si vede il gallo figurare nei sigilli e nell’arme dei maestri massoni. Nel 1348 Jehan Lambert, maestro muratore di Parigi, aveva il proprio scudo caricato con un gallo e tre stelle.   La parola gault  in francese antico significa gallo, ma deriva dal latino gallus  che vuol dire sia coq (l’animale gallo),  sia gaulois   (Gallo abitante della Gallia). Ne risultava un doppio risultato esoterico. Da una parte questo termine qualificava i costruttori sia dello stile romanico, sia dello stile ad ogiva , volgarmente detti ambedue gotici, poi gotico “antico” e gotico”nuovo”, per distinguerli ……D’altra parte il gallo era, dalla più remota antichità, l’emblema del sole, della luce”….omissis… “Questo termine del resto ebbe una portata internazionale, poiché non dobbiamo dimenticare che dal XII al XVI secolo, la lingua esoterica dei mestieri,in ogni paese, era il francese.”.
E il gallo ancora figura nel gabinetto di meditazione, la camera oscura che precede il conferimento della Luce massonica.
33)  In merito all’uso della doppio emblema e, nel caso specifico, della doppia filigrana, è interessante riportare quanto , con riferimento ai medesimi ambienti iniziatico letterari riferisce  P. Naudon, op.cit., pag. 127:  “ L’AGLA era una società esoterica che raggruppava glia apprendisti,i compagni ed i maestri della corporazione del libro. Il “glifo” collettivo di questa vasta associazione era il quattro. Figurava, accompagnato da fioriture o da aggiunte distintive , nel segno proprio di ciascun maestro della confraternita”.  Con riferimentoa tale glifo base specifica Robert Ambelain  in “Le Martinisme” pag. 51 e segg. : ” era  spesso sormonto un tracciato secondario, indicante una seconda associazione, interna a quella  a quella cui appartiene il segnatario. E’ così che l’esagramma, o Sigillo di Salomone ed  il monogramma di Maria, designano un’associazione che si occupa di alchimia o d’ermetismo. Mentre il cuore designa un altro ramo, nel quale è studiata la Cabala. A quest’ultimo gruppo appartenne Francesco I: per poter partecipare ai suoi lavori il Sovrano, una volta al mese, lasciava in incognito il palazzo del Louvre,  solo, vestito da borghese, per recarsi in “ rue de l’ Arbre –Sec ” dai fratelli Estienne,  giurati della corporazione degli Stampatori e dei librai, ed affiliati all’AGLA”.  Traduzione, grassetto e sottolineature sono miei.      
34)  Andréas Rizopoulos, QCCC (Quatuor Coronati Correspondence Circle), Londres :  in  « Activités maçonniques avec arrière-plan politique – et réciproquement – en Grèce au XIXe s. », Cahiers de la Méditerranée, vol. 72, La Franc-Maçonnerie en Méditerranée (XVIIIe - XXe siècle), 2006, [En ligne], mis en ligne le 17 septembre 2007. URL : http://cdlm.revues.org/document1168.html
35)    Così il rituale descrive la funzione in loggia del Maestro venerabile. Sulle modalità dell’esplicazione di tale funzione, rimando al mio antecedente lavoro. “ The kirkwall Teaching Scroll”.
36)   Tracce di tale uso risultano , oltre che nelle opere di Gustave Bord,  nella pubblicazione di Francesco Landolina : “ Per una storia della Massoneria Italiana in età napoleonica: i documenti di Lanciano” (Edizioni  Centrografico - Catania 2002) e ,per le zone del ponente ligure, nella ricerca archivistica effettuata  dal Sig. Guido Brancolini di Imperia e pubblicata sulla rivista informatica “ Esoteria ” sotto il titolo “Presunta Attività Massonica ad Oneglia e Porto M. (1725-1860)”. Particolarmente significativo per la specificazione dei luoghi in cui tali segni compaiono, gli stessi dell’influenza della Angelique, risulta quanto scritto in merito da Daniel Ligou ) in « Dictionnaire de la franc-maçonnerie » - Paris - Presses Universitaires de France – PUF – 1987 – entrée « Signature » : « la pratique fréquente d'un signe formé de deux traits horizontaux encadrant trois ou quatre points. Se référant à Claude-Frédéric Lévy, il décrit cette « marque » particulière en constant sa fréquence depuis le début du XVIIIème siècle ; à Rome, à Venise, à Lyon, en Allemagne, à Amsterdam ; c'est à dire sur une ligne qui remonterait le Rhin depuis l'époque de l'illuminisme. » La sottolineatura, così come il grassetto, sono  miei.
37)   E’ interessante notare il frontespizio dell’ Opera di bacone « Sylva Sylvarum »  da cui è tratto l’anteporta con le due colonne : oh ! di nuovo il Gornan sans bras
                                  

38)  Tra gli altri, qui ricordo, “ Lumen Rectis cordis, un monumento ermetico dimenticato a  Saint Denis in Parigi ” , scritto insieme all’amico Saracini Emanuele, ed  ancora “Il mausoleo di Hiram” in occasione dei lavori del 2° Convento Nazionale della Camere rituali di IV grado dell’A:.P:.R:.M:.M:.

 

 

L’INIZIAZIONE AD OSIRIDE
Dr. Paolo Galiano
Per gentile concessione dell'Associazione "Centro Studi Simmetria"

Il mito di morte e rinascita di Osiride costituiva il supporto dei Misteri Osiriaci: anche se solo con Apuleio nel I sec. d.C. ne abbiamo notizie particolareggiate (per quanto possa essere reso noto ai profani un rituale misterico), il rito descritto nel X Libro delle Metamorfosi trova riscontri con attestazioni di rituali analoghi risalenti almeno al XV sec. a.C.
Quindi agli inizi dell’era cristiana qualcosa esisteva ancora del rituale più antico, non ostante la degenerazione indotta dal pensiero ellenistico, perché, come dice Ermete Trismegisto, “O Re, i greci hanno discorsi vuoti buoni solo a produrre dimostrazioni, ed è qui tutta la filosofia dei greci, un rumore di parole” (cit. in Mayassis Mysteres pag. 5).
Di questi antichi rituali cercheremo di trovare almeno una traccia, per quanto ci consente la scarsità di documentazione.

IL MITO DI OSIRIDE
Osiride nella teogonia eliopolitana appartiene alla quarta generazione di Dèi, in quanto figlio, insieme a Seth, Iside e Nephtys o Neb-het, di Geb e Nut, la Terra e la Volta Celeste, a loro volta generati da Shu e Tefnut, il Potere dell’Aria e dell’Umidità, portati in atto da Atum, prima Manifestazione autocreatasi dalla Potenza del Nun, l’Oceano Primordiale. Solo Osiride ed i suoi fratelli sono nati dal rapporto sessuale (se così si può dire) tra gli Dèi, poiché le tre generazioni precedenti sono originate per progressiva individuazione del Principio sul piano dell’esistente.
Il mito di Osiride è ben conosciuto, per cui ricordiamo soltanto due particolari che troviamo in alcune versioni e su cui ritorneremo più avanti: Osiride sarebbe stato invitato da Seth ad un banchetto nel corso del quale egli si sarebbe ubriacato, fatto che facilitò al fratello l’ucciderlo o rinchiuderlo in una cassa a seconda delle varianti testuali; altri testi riferiscono che in stato di ebbrezza Osiride violentò la sorella Neb-het, sposa di Seth, dalla quale ebbe il figlio Anubis (il quale quindi sarebbe il fratello maggiore di Horus).
In tutte le versioni comunque Iside recuperò tredici parti del corpo di Osiride fatto a pezzi da Seth (non venne ritrovato il suo fallo, mangiato da un pesce) e li riunì con l’aiuto della sorella Neb-het, per rivivificarli con atto magico e generare in tal modo Horus.
Nei Testi delle Piramidi si trovano tracce però di un differente mito: Osiride sarebbe “caduto” (o forse annegato, sec. Rundle, pag. 98) nel fiume o città o regione di Nedit, situata sul Nilo vicino ad Abydos, per opera di Seth, e ritrovato “giacente sul fianco” da Iside:
“Il Grande è caduto sul suo fianco, colui che è in Nedit è stato abbattuto” (par. 819);
“La tua sorella più giovane [=Iside] è colei che ha raccolto il tuo corpo, che ti ha chiuso le mani,  ti ha cercato e ti ha trovato steso sul fianco sulla sponda del fiume Nedit” (par. 1008);
“Iside e Neb-het hanno trovato Osiride, suo fratello Seth lo aveva gettato giù a Nedit” (par. 1256);
“Osiride è stato gettato giù [o deposto?] da suo fratello Seth, ma egli è colui che è in Nedit” (par. 1500).
Ricordiamo che i Testi delle Piramidi risalgono alla V e VI Dinastia, e ovviamente la loro antichità è di gran lunga superiore alle testimonianze su Osiride che ci sono pervenute dal Medio e Nuovo Regno, per non parlare del periodo greco-romano, per cui sarebbe interessante approfondire il significato di questa versione.

Quello di Osiride è un mito di morte e rinascita, affine a quello di molte divinità mediterranee, come Adone, Attis, Dioniso, ma ne differisce per un elemento molto importante: Osiride non ritorna nel suo stato originario di Sovrano dei viventi, quale era stato nominato dal padre Geb, ma diviene “il Signore degli Occidentali”, cioè dei defunti, cedendo al figlio Horus il potere sulla terra. Avviene così una mutazione di stato, passando egli dal piano della realtà manifesta al piano infero: in altre parole, è un Dio che non ha più il potere creatore, e questa condizione è adombrata dalla perdita del fallo, simbolo del potere di generazione. A sottolineare il suo stato di Signore dell’Aldilà Osiride viene rappresentato sempre mummiforme, cioè incapacitato ad agire (di questo abbiamo già trattato nella Parte Prima).
Ciò non ostante, egli fu una delle maggiori divinità dell’Egitto antico, e la sua progressiva affermazione quale divinità del ciclo generativo e quindi della morte e resurrezione di contro a Râ, il Sole mai sottoposto a decadimento e morte, fu probabilmente la conseguenza di quel processo di “democratizzazione dell’Aldilà” iniziato nel Primo Periodo Intermedio e poi proseguito attraverso un plurimillenario percorso fino a sfociare nella religione misterica di Serapis in epoca tolemaica e poi romana.
E’ con l’Egitto ellenistico dei Tolomei che i rituali osiriaci arcaici, incontrando la nuova mentalità spiccatamente antropocentrica proveniente dalla Grecia, si trasformano in veri e propri Misteri, affini per struttura e contenuti a quelli che possiamo definire “classici”. I quali costituirono l’aspetto esoterico del culto di alcune divinità greche ed orientali.

IL SIGNIFICATO ESOTERICO DEL MITO DI OSIRIDE
La figura di Osiride può essere considerata come facente parte di un quaternario e di un ternario: i rapporti con i suoi fratelli Seth, Iside e Neb-het, configurano un quaternario fatto di due coppie, mentre i suoi rapporti con Iside ed il figlio Horus danno luogo ad un ternario.

Osiride e Seth sono figura di due potenze opposte ma complementari: se il primo è l’Ordine il secondo è il Caos, se il primo è correlato al mondo dei viventi e quindi alla fecondità, alla generazione e alla ri-generazione, alla solarità benefica, il secondo è correlato al deserto, al calore malefico che distrugge, alla secchezza che è morte.
Che Seth abbia in realtà una valenza positiva lo vediamo nella sua raffigurazione mentre, sulla barca di Râ, con la lancia trafigge il serpente Apep per favorire il passaggio del Dio; ambedue i poli, Osiride e Seth, sono necessari alla realizzazione del potere del sovrano: il Faraone è posto sotto la protezione di Horus figlio di Osiride e di Seth, perché in lui si risolve l’opposizione delle due divinità in un atto di equilibrio cosmico, in quanto il Faraone è immagine vivente di Atum-Râ.
L’uno non è concepibile senza l’opposto che è l’altro, sul piano della manifestazione le due forze sono compresenti senza annullarsi a vicenda.
A ciascuno di essi corrisponde una divinità femminile: Iside o Iset, la Signora del Trono, potente di magia, e Nephtys o Neb-het, la Padrona della Casa; con i loro paredri maschili esse creano due coppie correlate dal fatto che in qualche modo Seth e Neb-het costituiscono un “elemento contenitore” di Osiride e di Iside, i quali rappresentano gli “elementi contenuti”: il Caos circonda il Cosmo, cioè l’Esistente ordinato, come dice il suo stesso significato etimologico, e la Casa contiene il Trono che ne è il punto focale, in quanto fonte del potere (non dimentichiamo che in Egitto il potere del Faraone si trasmette in linea femminile, anche se si esercita secondo una linea patriarcale).
La delimitazione dei poteri di Osiride e di Iside ne consente la perfetta individuazione senza possibili errori di valutazione: o sei nell’Ordine o sei nel Caos, senza pericolose sfumature intermedie. Allo stesso tempo questo limite forma un “perimetro difensivo” che consente un’esplicazione delle potenzialità creative senza pericolose interferenze da parte delle forze negative, come il Pentacolo in magia delimita il territorio entro il quale attuare l’operazione.

Consideriamo ora  il ternario: Osiride è figura dell’essere spirituale, o “anima” come dice Mayassis (Mysteres pagg. 36 ss.), che si compone “di tre energie di una stessa e medesima essenza e si decompone in tre aspetti differenti per operare il dramma cosmico”.
Il mito di Osiride è la trasformazione dell’essere spirituale attraverso tre passaggi: la prima “anima” è Osiride, anima perfetta e luminosa che scende nelle regioni inferiori della creazione dove subisce il passaggio alla molteplicità (lo “smembramento”).
Dal decadimento che è rottura dell’unità nel molteplice lo trae la seconda “anima”, cioè Iside: ella lo ri-genera riunendone le membra separate, in tal modo si ricompone l’anima nella sua unità originaria attraverso il “passaggio al nero” della morte iniziatica per risorgere nella forma della terza “anima” Horus, “l’anima-figlio divenuta luce sublime, solare e divina, la forma finale e suprema della consustanzialità triadica dell’anima… Osiride è Horus al suo ritorno alle regioni divine un tempo abbandonate… L’azione di Iside eccita il ricordo di questo bene obliato e lo sospinge verso la trasformazione in Horus” (Mayassis cit.).
Riteniamo interessante il verbo adoperato da Mayassis in rapporto all’opera di Iside, “eccitare”, perché esso indica una qualità di fuoco presente nell’elemento femminino che è Iside, la Grande di Magia, quale si ritrova nella piromagia dei rituali della Fratellanza di Miriam, dedicata infatti ad Iside: il fuoco femminile di Iside è necessario per ridare vita al freddo cadavere e consentire la creazione del fuoco nuovo che è Horus, forma perfetta e definitiva di Osiride.
L’interpretazione esoterica di Osiride che dà Mayassis non dà però ragione del motivo della “caduta” dell’anima-Osiride: la causa del passaggio dall’unità nel molteplice potrebbe essere correlata ad una mancanza di stabilità o ad una “incompletezza” dell’anima, adombrata nel mito dallo stato di ubriachezza al quale egli soggiace nel convito offertogli da Seth e secondo altri testi dalla violenza che egli fa a Neb-het, sua sorella e sposa di Seth. In ogni caso la causa del decadimento dell’anima-Osiride è la perdita dello stato di autocoscienza, qualità che deve essere mantenuta nel percorso iniziatico, come abbiamo scritto più volte in questo saggio.

IL CAPITOLO CXXV DEL LIBRO DELL’USCIRE AL GIORNO
Se mancano le prove letterarie o archeologiche dell’esistenza di centri iniziatici in Egitto abbiamo però alcuni testi che in modo indiretto indicano che una o più forme di iniziazione esistevano: a tale scopo si possono citare a partire dal Medio Regno alcuni dei cosiddetti Libri dei Morti  e in particolare il Libro di ciò che è nella Duat, argomento del presente saggio, ed il Libro dell’uscire al giorno.
Nel Libro dell’uscire al giorno è in particolare il Capitolo 125 (Testo per entrare nella sala della Verità e Giustizia, si veda il testo in de Rachewiltz cit.) quello in cui si può ritrovare la sequenza completa delle azioni rituali compiute dall’ ”Osiride” (nome con cui si indica nei Libri dei Morti  il defunto ma che in questo caso indicherebbe un vivente che passa per la morte iniziatica prima di giungere alla realizzazione), che fanno di questo Capitolo una summa dell’iniziazione in Egitto.
  1. Il defunto-iniziato giunge dinanzi alla Sala della Verità e Giustizia (detta anche Sala delle Due Maat) e con la “confessione negativa” (righe 3-11), in cui il soggetto elenca le azioni malvagie che non ha commesso (alcune di esse si ritrovano sia nei Dieci Comandamenti dell’ebraismo sia nelle “Opere di misericordia spirituale e corporale” del cristianesimo), egli proclama la sua purezza: “La mia purità è quella del gran Bennu [= la Fenice] di Herakleopolis [capitale dei Faraoni della IX e X Dinastia] il giorno in cui l’Occhio si riempie in Heliopolis, nell’ultimo giorno del mese di Mechir [nome greco, in egiziano Rekhe, del II mese della stagione di Peret, “Semina”, corrispondente al nostro inverno] ed io sono uno che vede la compiutezza dell’Occhio” (riga 12).

Il cap. CLX descrive questo giorno della “compiutezza dell’Occhio”, in cui in Heliopolis gli Dèi “elevano lodi all’Occhio… Quando si completa la quarta ora, la terra è felice poiché la maestà dell’Occhio è alla presenza della Compagnia degli Dèi” (righe 3-5).
 Collegare l’evento iniziatico ad una data o ad un’ora precisa porterebbe a concludere per l’esistenza di un periodo specifico nel quale l’atto iniziatico si compiva, come abbiamo visto in alcuni passi del Libro di ciò che è nella Duat: d’altronde il rapporto tra la stagione della Semina e quella successiva del Raccolto (Shemu) fa pensare alla connessione tra il seme di grano che muore nella terra per rinascere come spiga nella stagione seguente, metafora iniziatica presente fin dai tempi più antichi.

  1. Dopo aver “riconosciuto” i Quarantadue Dèi che sono i giudici nell’Amduat (righe 14-34), il defunto-iniziato  prosegue affermando: “Egli [il testo a volte parla in prima, a volte in terza persona] è un puro poiché ha ascoltato il grande discorso tra l’Asino e il Gatto [simboli di Seth e di Horus-Râ] nella dimora di He-ped-ro… può contemplare il Laghetto dell’Albero di Perseaegli è stato purificato nel Lago del Sud e ha riposato nel Lago del Nord… si purificano in essi gli Dèi” (righe 40-45).

La Persea è una pianta dalla quale si trae una forma di mirra (si tratta della Amrys opobalsamum o amride della Mecca – Dizionario delle scienze naturali vol. II, Firenze 1831) adoperata nell’imbalsamazione, e quindi collegata all’immortalità, usata in Egitto anche contro i morsi di serpente e di scorpione e nella sterilità femminile: tutti questi usi spiegano la sua connessione con il rituale che stiamo esaminando.
La correlazione che vediamo nelle illustrazioni dei papiri funerari tra la Persea, il gatto ed il  lago sacro di Heliopolis è spiegata da questo passo: “Io sono il grande gatto che si trovava al lago dell’albero Persea in Heliopolis la notte della battaglia in cui fu compiuta la sconfitta dei Figli della Rivolta… Riguardo al grande gatto che è al lago della Persea in Heliopolis è Râ stesso” (Libro dell’uscire al giorno, XVII linee 45-47).

  1. Avvenuta la “confessione” e la purificazione, il defunto-iniziato deve dimostrare di conoscere i segreti degli Dèi ed i loro “nomi”: inizia così uno scambio di domande e di risposte (righe 46-53) tra gli Dèi e il defunto-iniziato, del genere che si ritrova in tutte le forme di iniziazione in ogni tempo e luogo; preceduto dall’invito a presentarsi dinanzi a loro (“Che egli venga!”), gli Dèi pongono una serie di domande a partire dal nome del soggetto, cioè chiedono di rivelare l’elemento in cui, secondo il pensiero tradizionale, è racchiusa l’identità segreta della persona (ricordiamo che Iside per diventare la Grande Maga dovette costringere Râ a rivelare il suo “nome segreto” in modo da ottenere il Potere).
  2. La serie di domande e risposte si conclude positivamente con l’invito da parte degli Dèi ad entrare nel luogo sacro: “Vieni, entra nella sala di Verità e Giustizia, poiché ci conosci”. Dopo aver dato le “risposte giuste” alle dieci componenti della porta che deve attraversare (il chiavistello, la soglia, ecc.), il defunto-iniziato subisce l’ultima prova prima da parte del Guardiano della Porta e poi da Thoth stesso, il Dio della sapienza. Solo a questo punto egli può entrare nella Sala e viene affermato da Thoth: “Avanza poiché tu sei stato annunciato! Il tuo pane proviene dal sacro Occhio, la tua birra è dall’Occhio sacro. Egli è giustificato per l’eternità” (riga 65).

Il termine maakheru, tradotto con “giustificato” ma più correttamente “giusto quanto a voce”, cioè in possesso della capacità di creare con la parola, è il titolo che viene dato al defunto dopo il rituale dell’”Apertura della bocca” che abbiamo già visto, ma anche all’iniziato che, essendo passato attraverso l’esperienza della morte, viene a trovarsi in una condizione analoga.
Si indica così il compimento del rituale e la completa trasformazione del defunto-iniziato in un essere divino: ora egli può giungere al cospetto di Osiride. Notiamo per inciso che nella prima immagine Osiride ha il volto di colore verde, la rinascita, mentre nella seconda il volto è di colore nero, il colore della terra: segno, questo, dell’attenzione posta dagli scribi egiziani anche nei particolari del loro lavoro.

PAPIRI E STELI CON RITUALI DI INIZIAZIONE OSIRIDEA
Testimonianze di personaggi che abbiano realmente eseguito i rituali di iniziazione ad Osiride ci sono pervenuti solo attraverso alcuni papiri e steli che vanno dal XV sec. a.C. al I sec. d.C.: l’analisi che fa Guilmot nel suo Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto va posta in parallelo con il Capitolo 125 del Libro dell’uscire al giorno che abbiamo sopra concisamente riassunto; si vedrà così come i vari passaggi del rituale descritti in questi testi siano non sempre perfettamente coincidenti con le parole del Libro, nel quale probabilmente è conservata una forma più arcaica di iniziazione.
Precisiamo che Guilmot vede tutta l’operazione iniziatica come una sorta di travaglio psicologico mirante ad un “perfezionamento spirituale”, anche se non è chiaro cosa egli intenda per “spirituale”, basato sullo “scatenarsi dell’emotività” (si veda ad esempio pag. 94) ed il suo studio si basa, come egli stesso dice, “sull’unire la tecnica della filologia a quella della psicologia dell’irrazionale” (pag. 12): prese le giuste misure dalle sue personali interpretazioni, con le quali ovviamente non concordiamo, il lavoro svolto da Guilmot risulta davvero importante per la conoscenza dell’effettiva realizzazione di tecniche iniziatiche nell’antico Egitto.
I testi studiati da Guilmot sono tre: il più esteso è proprio il più recente (papiro T 32 di Leida, scritto per un sacerdote di nome Horsiesis, Profeta di Amon Râ, I sec. d.C.), esso quindi risente della corruzione causata dal diffondersi dei Misteri classici in Egitto, come d’altronde si osserva anche nella descrizione del rito fatta da Apuleio nelle sue Metamorfosi. Però il confronto con testi più antichi (iscrizioni nella tomba di Amenhotep, sacerdote di Amon sotto Thutmosi III nel XV sec. a.C. e sulla statua di Hor, profeta di Amon durante la XXII Dinastia nel IX-VIII sec. a.C.; accenni sparsi in altri documenti citati dall’Autore) consente di rilevare l’esistenza di un iter iniziatico parallelo tra i vari testi, anche se non perfettamente coincidente sia tra di loro sia con quello riportato nel  Libro dell’uscire al giorno (Tabella comparativa in: a sinistra il Capitolo CXXV, a destra i punti salienti del rituale sec. Guilmot).
Questo iter può essere distinto in cinque fasi:

  1. L’accoglienza dell’iniziato nel “luogo sacro” identificato con un tempio di Osiride e in alcuni casi l’offerta di una corona di fiori o di fronde, quale si è ritrovata in alcune sepolture, come quella di Tut-ankh-Amon. Essa si identifica probabilmente con la corona del cap. XIX del Libro dell’uscire al giorno: “Tuo padre Atum ha posto questa corona di giustificazione sulla tua fronte affinché tu viva in eterno” (riga 1); la corona, simbolo della regalità, è anche simbolo del potere e la sua forma circolare  è segno del mondo trascendente. Anche Apuleio riceve una corona, ma alla fine del percorso iniziatico, una corona fatta di fronde di palma, le cui punte sono simbolo dei raggi solari: l’iniziato è divenuto un eguale di Râ.
  2. La discesa sotto terra o il passaggio attraverso l’oscurità della sala ipostila del tempio da solo o accompagnato da sacerdoti o da Anubis stesso (un sacerdote vestito con la maschera del Dio), sostituito in alcuni dei testi riportati da Guilmot dalla trasmissione di segreti o dalla lettura di testi, che egli suppone contengano formule iniziatiche. Il significato del “passare sotto terra” o comunque attraverso un luogo oscuro è simbolo della morte che l’iniziato deve subire per rinascere.  Un dipinto di epoca tarda raffigura il defunto vestito di bianco, segno di purità rituale, con in mano una corona e al suo lato sinistro Anubis che lo accoglie tra le braccia, mentre a sinistra vi è un sarcofago, segno della parte corporea che il defunto lascia dietro di sé; analogamente nel Libro di ciò che è nell’Amduat l’Ora XII si conclude, come si è visto, con la mummia di Osiride abbandonata sulla parete dell’Amduat mentre il Sole-Iniziato esce in forma di Khepri tra le braccia di Atum.
  3. L’ingresso nella Stanza sotterranea o in un luogo analogo e la “giustificazione” dell’iniziato che diviene maakheru, “giusto quanto a voce”.
  4. La rigenerazione, che si attua attraverso un bagno purificatore in un bacino, quale si trova accanto a tutti i templi o, nel caso di Abydos, probabilmente nell’anello di acqua che circonda la piattaforma centrale, di cui diremo avanti.
  5. La rivelazione del Dio e l’illuminazione trascendentale che ne consegue e che si raggiunge attraverso la visione del corpo del Dio o del reliquiario della sua testa o del suo corpo nel sarcofago, atto che costituisce il momento culminante e finale del rituale. 

Come si può vedere, la corrispondenza con il testo del Libro dell’uscire al giorno non è perfetta: anche lì abbiamo azioni rituali simili e con analogo significato, ma in ordine diverso e con alcuni passaggi che sono forse più coerenti con quanto ci si attende da un rituale iniziatico, ad esempio la purificazione dovrebbe precedere e non seguire la giustificazione, la quale dovrebbe essere il punto di arrivo del rito, mentre nei testi studiati da Guilmot essa è sostituita da una specie di illuminazione che giunge a seguito della visione di oggetti sacri, il che è analoga a quella descritta ad esempio nei Misteri Eleusini.

Il luogo in cui si svolgeva l’iniziazione nel papiro di Leida tradotto da Guilmot è il tempio di Osiride ad Abydos, nel quale il culto del Dio aveva origini antiche, risalenti alle prime Dinastie, ed in particolare la parte nota come Osireion.
Si tratta del settore, indipendente dal tempio vero e proprio e situato a nord di esso, costruito da Sethi I: si entra tramite un corridoio in discesa diretto da ovest ad est (segno che la rigenerazione seguiva il percorso del Sole-Râ) e lungo circa cento metri, le cui pareti portano incisi testi dei Libri dei Morti; alla fine del corridoio si giunge in una sala di forma rettangolare, al cui centro si erge una piattaforma circondata da un anello di acqua, per accedere alla quale vi sono due gradinate sui lati corti.
Sulla piattaforma vi sono tutt’ora due cavità, le quali si ritiene servissero a contenere il sarcofago del Dio e la testa di Osiride, la reliquia più importante tra tutte quelle riferite ad Osiride: i due oggetti costituivano il centro focale dell’illuminazione come la descrive Guilmot.
Attorno all’Osireion (o sulla piattaforma?) vi erano alberi di Persea, la pianta sacra simbolo di immortalità, e nel papiro di Leida trascritto da Guilmot si dice espressamente: “Tu arrivi nella stanza sotterranea, sotto gli alberi (sacri). Presso il Dio Osiride (ecco)ti giunto, colui che dorme nel suo sepolcro. Allora nel luogo santo ti è dato il titolo di Giustificato” (pag. 84). Questa descrizione fa pensare all’esistenza di un tumulo funerario eretto sopra l’Osireion sul quale dovevano essere piantati gli alberi di Persea, anche se alcune ricostruzioni fanno invece pensare che esso avesse un tetto aperto al centro da un grande lucernario.

 

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